Ci sono libri che portano ad
altri libri, storie che costringono, per una sorta di piacere puro, a rileggere
autori e autrici passati in secondo piano per effetto di un certo consumismo
culturale. Ė quello che succede con La Corsara di Sandra Petrignani, biografia
di Natalia Ginzburg strettamente intrecciata alle vicende della sua famiglia e alle
persone che ha incontrato, amato e perduto, alle sue opere, e ai fatti legati
alla casa editrice Einaudi, con tutti i soggetti che hanno avuto in essa un
ruolo importante. Una narrazione documentatissima che non prescinde
dall'affetto e dai ricordi personali di Petrignani, permettendole una
particolare vicinanza alla scrittrice.
Ne scaturisce un ritratto che, pur seguendo una scansione lineare, si sviluppa anche
nei rivoli delle varie vite con salti temporali, aneddoti e citazioni. Ci fa conoscere Natalia Levi da bambina, quando
nasce a Palermo, nel 1916, ultima dopo tre fratelli e una sorella, il suo nome
scelto dal fratello maggiore Gino, pensando alla protagonista di Guerra e Pace. Il
padre, Giuseppe Levi, è uno scienziato
illustre, ebreo triestino, la madre è
milanese «una donna intelligente, leggera e canterina, Lidia Tanzi, che si
consola di aver tradito i sogni d'indipendenza della gioventù riempiendosi la
vita adulta di libri, di arte, di cultura».
I Levi hanno avuto i primi quattro figli a Firenze, dopo Palermo si
trasferiscono a Torino, nel 1919. Nella loro prima casa c'è anche un giardino,
dove Natalia gioca con la bambola Olga e alcuni amichetti, ne parlerà in un
racconto dal titolo misterioso, Luna pallidassi, che si ritrova nella raccolta Mai devi domandarmi e Un'assenza. I suoi fratelli sono già molto grandi,
rivendicano le loro istanze e numerose sono le querelle tra loro, che suscitano le ire paterne e vivaci scambi
d'opinione, anche per questo motivo Natalia
fatica a trovare un suo posto in famiglia, è timidissima, parla sempre molto in
fretta nel timore che gli adulti si stanchino ad ascoltarla. Con sottile
cattiveria è soprannominata "Maria Temporala"«perché metteva il
broncio» e «impiastro, perché non sapeva vestirsi da sola [...] e lasciava
tutto in giro e non era sportiva né studiosa».
Il racconto di Petrignani si
sofferma sulle frequentazioni di casa Levi, dove «passa la Storia», le illustri amicizie,
il percorso scolastico di Natalia, non particolarmente brillante, ad eccezione
dell'ottimo profitto in Italiano e della sua volontà di scrivere, fino ai primi
racconti pubblicati. A ventidue anni sposa
Leone Ginzburg, amico di suo fratello
Mario, un altro casuale riferimento a
Tolstoy. Leone ha ventinove anni,
considerato un ex enfant prodige, e
ha fondato, con Giulio Einaudi, la casa editrice che tanta parte avrà anche
nella vita di Natalia. Poi i figli, gli anni del confino a Pizzoli,
in Abruzzo, in un mondo diametralmente opposto a quello in cui era vissuta. Cesare
Pavese, che ha appena pubblicato Paesi
tuoi, fedele al suo «inamabile lavoro di cerbero», le scrive: «Cara
Natalia, la smetta di fare figli e scriva un libro più bello del mio». Accanto
a Leone, la sera, quando i bambini dormono, Natalia scrive il suo primo
romanzo, La strada che va in città, dato alle stampe con lo pseudonimo Alessandra Tornimparte. Viene accolto tiepidamente dalla critica,
lei definita troppo «pavesiana o
americana». Sopraggiunge il panico dell'8
settembre, la fuga con i due figli aggrappati alle valigie e la piccola Alessandra di pochi mesi, in
braccio. Con la morte di Leone il dolore sembra insuperabile e toglie la volontà di
vivere. Sola, con tre figli, comincia a lavorare alla sede romana di Einaudi,
legge, traduce e scrive, scegliendo il nome Ginzburg per pubblicare, non lo
pseudonimo del confino, non Levi, il suo nome parentale, ma quello del marito,
per serbarne memoria, giacché lui non poteva più scrivere. Natalia conosce un
momento di grande infelicità che la porta alla soglia della vita, la salvano e
sceglie di trasferirsi a Torino, vicino
ai genitori. Pavese l'aiuta conferendole incarichi importanti nella casa
editrice e lei scriverà su di lui «pagine memorabili», dispiacendosi
profondamente per la sua morte. Incontra poi Cesare Garboli, che «per tutta la
vita seguirà la sua opera come amico e critico». Sposa Gabriele Baldini, nasce
una bambina, Susanna, e poi un bimbo, ma sono segnati entrambi da gravi
problemi di salute. Si trasferisce a Londra per seguire la carriera accademica del
marito, lì viene a mancare il piccolo, un altro grande dolore. Negli anni che
seguono Natalia scriverà libri che la consacrano una delle autrici italiane più
importanti del Novecento, compreso il memoir
Lessico famigliare, che le vale
il Premio Strega nel 1963. Si occupa
di teatro per molti anni, a cominciare dalla commedia Ti ho sposato per allegria
e scrive due romanzi in forma epistolare, Caro Michele e La famiglia Manzoni.
Negli ultimi anni scrive su La Stampa e Il Corriere della sera, sempre molto caustica e sincera, come piaceva
a lei, e occupa un seggio in Parlamento.
La sua scrittura l'accompagna sempre nelle vicende della vita, in una
forma tutta nuova, da lei inventata, dice Petrignani, con l'uso di un
"noi" , «pudico e assertivo», che le permette un dialogo insieme più distante e più antico, di una
semplicità solo apparente, lontana «dal linguaggio pietistico, o emotivo, o
evasivo».
Dicevo che il libro di
Petrignani costringe, invita, alla rilettura delle opere di Natalia, ma
aggiungo anche a quelle di Pavese, Moravia, Morante, Calvino, Dacia Maraini. Tutte
persone con cui lei ebbe rapporti stretti di amicizia, stima e collaborazione. Quella con Elsa Morante fu però
un'amicizia «complessa, spinosa, sbilanciata» perché «erano due donne sincere
fino alla brutalità, solo che Natalia accettava senza risentimento le critiche
della collega, anche le più feroci, mentre Elsa raramente tollerava di essere
contraddetta». Ė un libro denso di fatti, denso di vite, La corsara, non si può
ridurlo a elenco senza tralasciare qualcosa e, soprattutto, senza sminuire il grandioso affresco novecentesco con attori,
attrici e figuranti, tutti noti, tutti a loro modo importanti. Su tutto e tutti
campeggia la statura di Natalia Ginzburg, sebbene lei abbia continuato a dubitare di se stessa e delle sue
abilità fino alla fine, nonostante i natali borghesi, le frequentazioni scelte
e il successo meritatissimo. «Fin da
piccola si era sentita lacerata da quella che lei stessa definiva una
"timidezza proterva"». Petrignani sostiene che «conservò sempre un
tratto infantile, lo conservò nel carattere e nel modo di esprimersi, nella
scrittura e nella calligrafia». L'autrice fa parlare le persone di lei e con
lei, in un'interazione che supera gli
anni, le diverse convinzioni, i vincoli familiari e la morte. La vita di Natalia non le ha fatto sconti e
il racconto di questo libro non tace
neppure sugli aspetti più delicati, quelli che la scrittrice celava anche agli
amici più cari, ma nelle pagine di questo libro aleggia un rispetto
che si nutre di ammirazione e stima. Sandra
Petrignani e Natalia Ginzburg, due scrittrici che si incontrano, si leggono, si
sfiorano e si parlano a distanza, nel
tempo, attraverso testimoni, autori e opere. Una donna raccontata da una donna, un bel
leggere.
La corsara. Ritratto di
Natalia Ginzburg, Sandra Petrignani, Neri Pozza Editore,
2018.
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