Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

martedì 31 dicembre 2013

Donne che scrivono

o hanno scritto. Fra queste, Barbara Pym, di cui in Italia è passato sotto silenzio il centenario della nascita, a differenza della Gran Bretagna, suo paese natale, che l'ha celebrata come merita, almeno in ambito accademico. Sconosciuta ai più (italiani), sottovalutata per decenni, però amata da Calvino e Fruttero, infine paragonata giustamente a Jane Austen e Cechov, ha ambientato le sue storie in quartieri londinesi o villaggi di campagna. Piccole storie di accademici, bibliotecari/e, antropologi, segretarie; vicende quotidiane, nessuna avventura o viaggio esaltante. Ma i suoi personaggi sono notevoli, sovente donne sole e autonome che trovano il senso della loro vita al di là del rapporto con un uomo, o magari dopo esserne state deluse e/o ferite. Assegna un valore completamente diverso alle spinster (zitelle), rivelando che dignità e buon senso non si abbinano necessariamente a tristezza e solitudine. Tra le righe traspare un'ironia sottile che contrasta il grigiore della routine e  impedisce di spegnere il gusto di vivere, a partire dalle relazioni rispettose, dai tè in giardino o al vicariato, da un'esistenza sobria che non rinuncia a un filo di stile.
I suoi libri sono tradotti in italiano ma per imperscrutabili ragioni (!) non sono tutti disponibili in formato cartaceo, suggerisco allora di cercarli nelle biblioteche e nei mercatini dell'usato. Segnalo fra essi, senza soffermarmi, riprenderò il discorso:
Un po' meno che angeli (Less than angels), uscito nel 1955,  diffuso in Italia dalla casa editrice La Tartaruga (ora scomparsa/riassorbita etc). Racconta il legame tra una donna e un giovane uomo.
Quartetto in autunno (Quartet in autumn), pubblicato in GB nel 1977, dopo un ventennio di oblio, introduce con garbo i temi della vecchiaia, del pensionamento, della morte. Un garbo che alleggerisce la trama e la rende accettabile anche a chi si sente lontano da tali problemi.
Donne eccellenti (Excellent women), 1952, ora ripubblicato da Astoria.
 
Simonetta Agnello Hornby è scrittrice di origini  siciliane, ma residente a Londra da decenni, ne ho accennato   nel post La questione cibo (gennaio 2013) per il suo Un filo d'olio. Tutti i suoi libri sono egualmente intriganti, caratterizzati da una prosa secca, con echi dialettali e volute piacevolmente barocche. Si rimane intrappolati nelle sue trame e si fatica a separarsene, anche per l'accuratezza della ricostruzione storica. Questa autrice è una donna speciale che emana, di persona, un'empatia energica e, ascoltandola, si ritrova la lingua dei suoi libri. Le piace ricordare come, giovane magistrata a Londra, trasse dal suo mentore l'insegnamento che "ogni buon professionista deve avere almeno un romanzo, sul suo comodino".
E' una norma che cerco di passare (inascoltata) a quanti mi circondano.

Fra tutte le sue opere, o per cominciare, indico: La Mennulara, inoltre Il veleno dell'oleandro e il sorprendente (per il finale) La monaca, tutti pubblicati in italiano da Feltrinelli.






Imperdibile Melania Mazzucco: sa scrivere di arte e storia, radici e geografia, sentimenti e diritti. Lasciamoci cullare dalla sua prosa attuale e antica, perfetta. Io ho adorato Vita (Rizzoli, 2003) e Sei come sei (Einaudi, 2013). Il primo ambientato nell'America dei migranti del primo Novecento, fermati ad Ellis Island prima del loro arduo destino di fatica e poi lungo le piste del loro sogno, quando e se si avvera. L'altro ci presenta una ragazzina tenace in cerca di suo padre, o di un suo padre, in un'Italia che preferisce schermarsi con i servizi sociali per non affrontare il nodo dei sentimenti.




Margaret Mazzantini, è autrice di bestseller, qualcuno prestato con uguale successo al cinema, io l'apprezzo quando racconta di maternità e dintorni, con una lingua evocativa e metaforica. Come in Venuto al mondo (Mondadori, 2008) e Mare al mattino (Einaudi, 2003).




Circoscritta in un ambito ingiustamente ritenuto minore, la scrittura di Stefania Bertola trascende la chick-lit perchè la sua leggerezza è solo apparente, in realtà indaga il mondo femminile con acume e ironia, senza ignorare contraddizioni e fragilità. Per gli scrittori si parla sovente di genius loci (leggi: Pamuk) e questa autrice non nasconde quale sia il suo, infatti assicura che scrive solo quel che conosce e, indubbiamente, conosce bene Torino. Però vorrebbe, in un futuro nemmeno troppo lontano, ampliare i suoi orizzonti e arrivare, magari, al mare, fino a ... Finale Ligure!
Io già rido, non so voi.
Se non la conoscete, iniziate da Biscotti e sospetti, oppure con La soavissima discordia dell'amore, l'ultimo uscito è Ragazze mancine (Einaudi, 2013); gli altri sono disponibili in diversi tipi.




Una voce giovane per chi ama i medical thriller in salsa italiana. Alessia Gazzola cattura con una prosa lieve,  intrisa di termini fashion,  riferimenti tecnologici e richiami allo shopping e interpreta con maestria le ansie e lo stress degli ambienti di lavoro, la misoginia sottile o pesante che discrimina le donne più brave e le sminuisce, emarginandole. Ma non c'è analisi di genere nei suoi libri, né architetture complesse o finali mozzafiato. La sorpresa è dietro l'angolo, come nella vita, nei rapporti meno conflittuali con i colleghi, nei pranzi di famiglia o nei dubbi amletici della protagonista, una medica legale un po' pasticciona, un po' secchiona ma molto simpatica e con il bernoccolo dell'investigatrice.
L'allieva, Longanesi, 2011.
Un segreto non è per sempre, Longanesi, 2012.
In uscita, il 16 gennaio, Le ossa della principessa.








Ad Alice Munro, appena insignita del Premio Nobel per la letteratura, chiedo idealmente scusa per non averle ancora dedicato un rigo, ma è inclusa nei buoni propositi per il nuovo anno.

A quanti mi hanno seguita in questo primo anno,  il mio grazie semplice e sincero
e un augurio speciale, perché l'anno che verrà sia sereno per tutti, che tornino di moda l'onestà e l'impegno declinati nei gesti di ogni giorno e ...
ci porti anche...tanti bei libri, why not?

 





lunedì 23 dicembre 2013

the perfect present

Tempo di regali, why not a book?
Un libro è un'opzione trascurata. Parla chi di libri ne riceve pochi: temono, donatori e donatrici, che li abbia già letti o che non sia il mio genere (?).
Per una lettrice onnivora come me è quasi un insulto, ma prevale la comprensione sulla delusione verso quegli
stessi donatori/trici. Infatti le librerie si presentano (sovente!) come supermercati, opulenti ma anonimi e il personale addetto alla vendita, quando non competente, appare distratto o distaccato. Per i lettori occasionali, l'attività di scelta diventa frustrante.
L'ideale sarebbe avere propri itinerari di lettura e tenersi informati sulle novità editoriali, senza dimenticare le opere pubblicate in passato (anche remoto),  finanche le opere oggetto di studi giovanili, per sagge riletture. Poi, privilegiare le piccole librerie indipendenti, dove si può ancora chiedere un parere o un suggerimento.
Venendo a una possibile lista di titoli natalizi... tutti i settanta e più presentati qui, nei precedenti post, ça va sans dire!
E...
qualche autrice/autore magari noto o sconosciuta o famoso o famosissima.
Regalate un libro!

lunedì 25 novembre 2013

scarpe rosse

Come viene detta la donna dagli uomini?
Quante volte abbiamo ascoltato frasi fatte pensandole assolutamente naturali, tanto siamo avvezze/i a sentirle?
Ma di naturale non c'è nulla nel paragonare le donne agli animali, o a scherzare sui loro difetti fisici,  neanche se le parole si ammantano di quella saggezza/sapienza tipica dei proverbi.
Daria Martelli, nel suo Le parole di ieri sulla donna, propone uno studio di genere svelando la misoginia che impregnava la concezione della donna nella società e nell'ambito domestico, relegandola ad un ruolo subalterno, da cui, purtroppo, non è ancora completamente affrancata.
Il saggio nasce dalle ricerche dell'autrice sulla condizione delle donne nel Cinquecento (si veda, in proposito, Polifonie. Le donne a Venezia nell'età di Moderata Fonte, Daria Martelli,  Cleup, 2011) e dimostra "la tenace persistenza di stereotipi e pregiudizi" che attraversano i secoli, rimanendo pressoché immutati.
Lo stesso alone di tradizione e verità, che circonda la cultura popolare, la mette "al riparo  dalla critica" e la "avvolge di nostalgia", ma la sua radice patriarcale è tale e quale alla più autorevole cultura dotta e ufficiale, entrambe di "carattere androcentrico". Cornice di pensiero in cui viene inserita la donna e in cui ella stessa si riconosce, almeno fino alll'inizio degli anni Settanta del Novecento, quando irrompe sulla scena il pensiero femminista.
Tuttavia, il retaggio del pensiero patriarcale si rintraccia ancora nei luoghi comuni che ricorrono nel linguaggio abituale. Si noti il "carattere sessuato dei proverbi e [...] la loro spiccata propensione all'erotismo" e, di contro, "l'invisibilità del carattere maschile" che crea "il fondamento della loro autorità" così da farli apparire "assoluti e universali". Si veda anche la diversa accezione delle parole, se declinate al maschile o al femminile: una donna è onesta - seria, solo per quanto attiene alle sue prestazioni sessuali, non perché rispetta la legge, come si dice dell'uomo, per cui l'aggettivazione rimanda a correttezza e affidabilità. Anche ambiziosa, per una donna significa occuparsi del suo aspetto e dei suoi abiti, mentre per un uomo si riferisce all'affermazione sociale e professionale.
Sono espressioni contenute in vecchi proverbi che vengono ancora riproposti ai giorni nostri per celia o per disprezzo, sotto il grande cappello protettivo di una tradizione considerata profonda e benevola.
Il testo ci conduce in un territorio in cui congiurano folklore, storia e letteratura per invitare la donna... a fare la calza, rimanersene nel suo cantuccio accanto al focolare, oggi più tecnologico, e permettere all'uomo di amministrare la sua vita e il mondo. Significativa la presenza della doppia morale: repressiva per la donna e permissiva per l'uomo.
Del volume fanno parte utili paratesti: l'elenco delle leggi, dal 1945 al 2011, che hanno una relazione con gli argomenti trattati; una raccolta di proverbi, modi di dire e parole tematiche ed infine una puntuale bibliografia dei testi citati.
Daria Martelli riesce a rimanere lieve, nonostante l'importanza e la gravità del tema, guarda alla storia e al costume e ci regala una lettura coinvolgente che induce ad uno sguardo più responsabile sui cosiddetti luoghi comuni.
Le parole di ieri sulla donna. Una ricerca di genere sulle nostre radici culturali, Daria Martelli, Cleup, 2012.




Come rileva Daria Martelli, le parole sono pericolose nella loro pervasività, perché sono sostenute da concetti, valori, credenze.
Possono rappresentare "una forma di violenza morale e simbolica e istigano alla violenza fisica". Dobbiamo ricordarlo e riflettere perché anche le parole sono responsabili delle 2220 vittime, in Italia, tra il 2000 e il 2012, per il 70% in ambiente domestico e affettivo*.
Tutte donne.
Si muore per mano del marito, dell'amante, dell'ex-partner , che non vuole riconoscere alla donna l'autonomia di scegliere un percorso che lo escluda.
Si muore massacrate per mano di qualcuno che si pensava di amare.

Giornata Internazionale contro il Femminicidio
25 novembre 2013

nella speranza che altre scarpe rosse come il sangue NON si aggiungano a quelle che qualcuno ha fermato sulla strada della vita.





* fonteLa Repubblica, 24 novembre 2013.







domenica 17 novembre 2013

Doris Lessing

Se ne è andata, Doris Lessing, a novantaquattro anni, tutte le tracce del tempo sul suo volto rimasto bellissimo. Ha scritto "compulsivamente" più di cinquanta opere, meritando il Premio Nobel nel 2007 come "cantrice dell'esperienza femminile". Ma lei ha sempre evitato di farsi porta vessillo delle femministe che l'avevano scoperta solo ne The Golden notebook, del 1962 (Il taccuino d'oro) e in quella formula volevano inchiodarla. Preferì invece sperimentare diversi generi ed esplorò anche la scrittura per il teatro.
Doris May Tayler nacque nell'allora Persia e visse fino alla fine degli anni Quaranta in Rhodesia, da dove raggiunse l'Inghilterra con il manoscritto  The grass is singing (L'erba canta) nella valigia. Ha pubblicato i suoi libri con il nome del secondo marito, salvo stupire tutti con The diary of a good neighbour, uscito nel 1983, con il nome Jane Somers, passato inosservato a critica e lettori/lettrici (ne ho parlato nel post De senectute) e riscoperto solo l'anno seguente.
Non desidero enfatizzare l'emozione che mi ha procurato la notizia della sua morte,  ma non posso neppure nascondere e nascondermi che Doris Lessing sia stata fondamentale nel mio percorso di consapevolezza come persona. Ho sempre trovato, nei suoi libri, un suggerimento, un motivo per riflettere, approfondire e anche, non di rado,  consolazione. Se fossi chiamata a stilare un elenco di preferenze, lei sarebbe in cima.
Malata da tempo, dopo Alfred & Emily del 2008, una biografia fantasiosa dei suoi genitori, aveva annunciato che non avrebbe più scritto, ma il pensiero di lei, nella sua casa londinese colonizzata dai libri, anche lungo le scale, mi faceva compagnia.
Ciao, Doris.

giovedì 14 novembre 2013

realtà e romanzo

Ho scelto di accostare due testi completamente diversi per l'originale sintesi di reale e immaginario volto al verosimile.


Giulia Schucht e Antonio Gramsci si incontrano nel 1922 a Serebriani Bor (Bosco d'argento), un sanatorio alla periferia di Mosca dove è ospite Eugenia, una delle sorelle di Giulia e dove anche Antonio cerca di curarsi,  lontano dalle fatiche e dalle responsabilità della politica. E' amore a prima vista, che condividono in luoghi anonimi, resi appena più domestici dal gesto romantico di Giulia, come un fiore in un bicchiere e  le lenzuola del corredo di casa.
Giulia è una talentuosa violinista e la musica, del resto, è  una delle passioni di famiglia, insieme all'amore per la natura e la politica. Al confronto con la sua Sardegna, aspra ed essenziale, Gramsci detesta lo stile di vita Schucht: troppi cuscini morbidi e fotografie incorniciate, il tè nelle tazzine di porcellana e quella loro forma di "piccolo borghesismo che è la bohème". E poi sempre musica che  a lui "lima i nervi", perché non la conosce  né capisce.
Giulia, che ha già incantato ottomila spettatori nel Concerto di Capodanno del 1918, a Mosca, eseguendo la Légende op.17 di Henryk Wieniewski, finirà col trascurare il violino, per amor suo, ma sarà un lutto.
Presto separati, il loro amore nasce segnato dalla lontananza, lei a Mosca e lui a Vienna, poi Antonio in Italia e Giulia in Russia, troppe verste tra loro; infine, e solo per pochi mesi prima dell'arresto di lui, ancora insieme a Roma,  ma in case diverse, per motivi di sicurezza. Quindi un amore epistolare e soprattutto silente perché Gramsci, che sa trovare le parole per esprimere i concetti politici più complessi, non riesce a superarsi per comunicare a Giulia i suoi sentimenti. E Giulia, che non può vivere "senza la misericordia delle parole", entra ed esce dai sanatori, sorvegliata dai servizi segreti che cercano di spiare, attraverso lei, l'uomo politico Gramsci, potenzialmente pericoloso. Forse la malattia di Giulia è stata il suo modo di " tornare in sé", sottraendosi agli interrogatori per non rendersi strumento di una Storia che schiacciava la sua vita.
Lucia Tancredi  afferma: " là dove finisce il documento, comincio io". Con la sua prosa suggestiva e musicale, il romanzo ha vinto il Premio Letterario Internazionale "Scrivere per amore" 2013, promosso a Verona da Il Club di Giulietta.  La presidente della giuria, Loredana Lipperini, ha sottolineato che questo libro ha avuto il "merito di restituire alla memoria comune la figura di una donna che dalla memoria, come troppo spesso avviene, è stata espulsa".



Rimossa dalla nostra mente, come un pensiero ingombrante e fastidioso, la guerra nell'ex Jugoslavia è al centro de La figlia, di Clara Uson, senza indugiare nella violenza, senza nascondere nulla, senza una parola di troppo.
L'impianto ideologico che oscura la realtà, fino a trasformarla agli occhi di tutti, è lo sfondo del percorso doloroso e drammatico di consapevolezza in cui Ana, brillante studentessa di medicina, apprende la verità sull'amatissimo padre, Ratko Mladic, detto il boia di Bosnia. Scene di tranquilla vita familiare, incontri  e pranzi con amici, un papà affettuoso, i libri e gli esami, questo l'universo ovattato in cui vive Ana a Belgrado, protetta dalla propaganda che manipola le coscienze, mentre altrove già non si contano le vittime. Poi, un viaggio a Mosca e avviene lo svelamento: anche i suoi amici mostrano di essere molto critici nei confronti di suo padre, com'è possibile? Come si permettono di allinearsi alla tanto denigrata stampa estera che distorce i fatti? Ma il tarlo del dubbio mina le sicurezze e produce scarti nell'atteggiamento della giovane, niente sarà più come prima.
Le biografie dei personaggi di questo romanzo si imprimono nella memoria, lasciano una traccia amara e portano alla ribalta quella Bosnia dilaniata, stuprata, annientata che non si vorrebbe pensare o, almeno,  si preferirebbe confinare in un angolo della mente, con alcune affrettate giustificazioni di ordine religioso e politico.
Invece l'autrice ci ricorda che i crimini sono stati commessi da persone che potevano, in tutta tranquillità, puntare e sparare ai passanti che attraversavano la strada e poi riprendere l'interrotta  partita a carte, telefonare a casa e chiedere notizie dei propri figli. Ci ricorda che Sarajevo è stata bloccata da un embargo che l'ha penalizzata, togliendole la possibilità di difendersi, mentre intorno si affacendavano, più o meno, le cosiddette forze di pace dell'ONU, tra veti incrociati, incontri segreti e altrettanto segrete alleanze e spartizioni. Ci ricorda la "selvaggia carneficina" di Srebrenica, per cui le parole sono insufficienti a renderne l'efferatezza.
Clara Uson  ne La figlia, combina magistralmente linguaggio documentale e narrativo, ne risulta un libro che dovrebbe essere consigliato alla lettura nelle scuole secondarie perché potrebbe suscitare interessanti confronti fra studenti.
Per tutti/e, un'occasione per fare chiarezza sui tanti equivoci che ancora permangono nelle nostre opinioni intorno ad una guerra che tutto è stata tranne di religione.
Al proposito, sempre attuale (anche se pubblicato nel 1996, prima della conclusione del conflitto), e magari un po' ridondante e ripetitivo,  Maschere per un massacro, di Paolo Rumiz.


La vita privata di Giulia Schucht, Lucia Tancredi, ev, 2012.
La figlia, Clara Uson (traduz. di Silvia Sichel), Sellerio, 2013.
Maschere per un massacro.Quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia, Editori Riuniti, 1996 (ripubblicato da Feltrinelli, 2011).


Una più ampia recensione di La vita privata di Giulia Schucht è pubblicata su
Leggere Donna n°162/2014

lunedì 14 ottobre 2013

Isolina

Verona, 1900. Isolina era una ragazza  di diciannove anni che viveva con i  fratelli e il padre, la madre era morta dieci anni prima. Non era ricca, né particolarmente bella, ma era serena, estroversa, le piaceva molto andare a ballare con le amiche. Si innamorò del tenente Carlo Trivulzio, che affittava una camera presso la sua famiglia, e rimase incinta.  Da lui costretta ad abortire in modo brutale, per mano di ufficiali suoi amici, su un tavolo d'osteria, con una forchetta, tra gli urli soffocati in un tovagliolo, morì. Il suo corpo venne rinvenuto a pezzi, giorni dopo, nelle acque dell'Adige. Tutti gli indizi portavano a Trivulzio ma né lui, né gli altri responsabili non furono puniti. Le tracce giudiziarie del processo vennero occultate, l'opinione pubblica messa a tacere.

Contrariamente al solito, racconto la trama di Isolina, di Dacia Maraini, perché il nome di questa ragazza è stato raccolto da

 ISOLINA e...
 Associazione Per La Prevenzione del Femminicidio



e la stessa scrittrice ha ricostruito la sinossi del romanzo nel corso della presentazione dell'iniziativa, a Verona, il 13 ottobre, presso l'Accademia dell'Agricoltura, delle Scienze e delle Lettere.
Nata nel giugno scorso, Isolina e... si propone di "affrontare  con efficacia la gravissima emergenza umana, sociale, culturale e politica dovuta al devastante fenomeno dei femminicidi".
Non vuole sostituirsi alle iniziative di tutela e sostegno alle donne, già presenti sul territorio, ha ricordato Chiara Stella, socia fondatrice, ma concorrere alla formazione dei cittadini e delle cittadine nell'ottica del rispetto reciproco. Marisa Mazzi, presidente dell'associazione, ha comunicato che essa si rivolge tanto agli uomini quanto alle donne, per provuovere un cambiamento culturale verso una maggiore sensibilità al problema della violenza sulle donne e intende costituirsi parte civile nei processi penali contro i responsabili di femminicidi, per dare maggiore visibilità al problema, sovente riferito come  incidentale o dovuto ad improvvisa pazzia.
Con parole prive di enfasi, Dacia Maraini ha sottolineato come l'affermazione della scelta della donna, in contrasto con la volontà dell'uomo, scateni in lui la perdita di identità . Se la virilità dell'uomo continua ad essere impregnata di potere sulla donna, quando viene meno il possesso, ne consegue una perdità di senso. 
Si può facilmente convenire con la scrittrice come la società abbia smarrito la sacralità della persona e si debba ripartire dalla scuola primaria con un'educazione ai sentimenti che porti a vivere l'amore senza identificarlo con la proprietà della persona amata.
Isolina, la giovane del romanzo, aveva solo espresso  il desiderio di tenere e crescere la creatura che le stava crescendo in grembo ma, per il tenente Trivulzio sarebbe stato uno scandalo che poteva ripercuotersi sul suo onore, sul buon nome della sua famiglia e persino sul prestigio dell'Arma degli Alpini. Isolina Canuti, invece,  non apparteneva ad un casato importante, nessuno avrebbe rivendicato con forza i suoi diritti, così  l'amante poté facilmente imporle la sua scelta e, provocando la morte della ragazza, liberarsi del corpo, negandone persino la riconoscibilità.  Nel processo che seguì, anche la memoria della giovane venne manipolata e Isolina fu dipinta come una ragazza dai facili costumi, come se la sua vita avesse contato meno di nulla.
Solo il padre chiedeva inutilmente giustizia.

Isolina e... è presente su facebook
Il logo dell'Associazione è stato disegnato da Gek Tessaro.

Isolina. La donna tagliata a pezzi,  Dacia Maraini, Mondadori, 1985.
In assenza di fonti giudiziarie, la scrittrice ha dichiarato di aver costruito il romanzo sugli articoli dei giornali dell'epoca, molto precisi sull'argomento e corredati da disegni che rendevano fedelmente il contesto della vicenda. Usando una lingua che restituisce tutto l'orrore della storia, è riuscita nell'impresa di  spezzare la coltre di silenzio e omertà seguita alla morte di Isolina, senza commenti. Parlano i fatti.

Di femminicidio si è parlato anche  nel post  8 marzo.



domenica 29 settembre 2013

ZeroZeroZero


Roberto Saviano rintraccia le storie (inimmaginabili) della coca: come nasce, si trasforma e diffonde, pervasiva e distruttiva, nutrita di lacrime e sangue. Cita nomi e cognomi dei narcos e degli altri attori sulla scena, disegna la mappa dei cartelli vecchi e nuovi che la organizzano, distingue meticolosamente le tipologie di pusher. Afferma che "la mappa del mondo si costruisce sul carburante, quello dei motori e quello dei corpi. Il carburante dei motori è il petrolio, il carburante del corpo è la coca".
La coca è un business globale, muove enormi quantità di denaro, è una nuvola immensa di polvere che si sposta tra i continenti e può arrivare a destinazione in container, sottomarini, barche, valigie, ma anche in quadri, tronchi di legno pregiato, squali surgelati, cuori di palma, falsi ananas, protesi per il seno; oppure disciolta e spalmata su tappeti: basterà lavarli e far evaporare il liquido per ottenere il soluto. Possono trasportarla anche i cani e, per recuperarla, vengono squartati e le loro carcasse abbandonate a cielo aperto.
E poi ci sono i muli, cioé persone che la ingoiano sotto forma di ovulo; ogni ovulo contiene dai cinque ai dieci grammi di coca. I muli  ingoiano trenta o quaranta ovuli, ma qualcuno arriva a centoventi. C'è un impressionante record riguardo un uomo, fermato nel 2009 nell'aeroporto di Amsterdam-Schiphal, che portava dentro di sé duecentodiciotto ovuli. Se anche un solo ovulo si rompesse all'interno del corpo, l'individuo morirebbe per overdose tra atroci sofferenze.
La coca si accompagna alla ferocia, lasciando una scia di morte, corpi torturati, mozzati da motoseghe, disciolti nell'acido, spariti nel nulla.
La coca sposa le banche, impeccabili lavatrici dei suoi proventi che trasformano in denaro investibile in beni che consumiamo tutti:
La coca è ovunque, anche laddove non esistono ospedali, acqua corrente e istruzione, la coca non manca. Secondo fonti ONU, nel 2009, il consumo in Africa è stato di ventuno tonnellate, quattordici in Asia, due in Oceania e più di centouno in tutta l'America latina e Caraibi.
Saviano racconta, racconta, iterativo per una sua speciale, malinconica poetica. Il suo punto di vista non è distaccato, ne consegue una narrazione sui generis: si basa su documenti, interviste, atti giudiziari, fonti sicure ma non è giornalistica, si apparenta piuttosto al romanzo.
"Scrivere di coca è come farne uso" dichiara, si diventa addicted, ma lui ha scelto di "starci dentro", anche se il dolore dei nomi che allungano gli elenchi "non passa mai".
Talvolta la lettura si inceppa perchè il contenuto è troppo difficile da accettare come dato di realtà, come se tutti "gli insegnamenti volti alla bellezza e alla giustizia" dimostrassero un'assoluta impotenza di fronte all'efferatezza della coca.  Eppure si legge questo libro per una sorta di imperativo morale e, dopo,  non si può restare indifferenti.
 ZeroZeroZero, Roberto Saviano, Feltrinelli, 2013.

domenica 22 settembre 2013

Opere e operazioni

In estate si legge di più o in modo diverso e lo sanno bene le case editrici che  preparano in anticipo  l'uscita di una valanga di titoli, confezionati in modo accattivante, per raggiungere anche i palati meno avvezzi alla lettura, operazioni editoriali appunto.
Come La verità sul caso Harry Quebert, un "prodotto" leggibile, blandamente intrigante, della mastodontica mole di settecentottanta pagine, l'antitesi del libretto breve/superficiale. Peccato che attorno alla quattrocentesima pagina si venga assaliti dal dubbio di conoscere il possibile esito e si leggano con riluttanza le rimanenti fino alla spiacevole sorpresa di vedersi confermata la propria ipotesi di soluzione dello pseudo enigma poliziesco.
Ancora (purtroppo!) in cima alle classifiche di vendita, resta una di quelle operazioni finalizzate a spacciare per memorabili libri che si potrebbero dimenticare da qualche parte, senza rimorsi.

Altro è trovarsi e restare coinvolti in un'opera autoriale vera, dove si respira finanche la fatica della scrittura, l' invenzione nutrita di solida letteratura, l'umanità fiera dei suoi valori, dichiarati senza temere il giudizio degli altri.
Ne El especialista de Barcelona, Aldo Busi pone un io narrante, scrittore anch'esso, in dialogo con una foglia appesa al ramo, nella rambla di una Barcellona pre-autunnale. Un pretesto esile come il gambo che sostiene la foglia, eppure regge una trama digressiva (e trasgressiva) infinita, con periodi innestati gli uni negli altri, incisi giustificati da una punteggiatura avarissima, pensieri che pungono ma si spuntano, non di rado, con ironia, quella vera, non il sarcasmo con la mascherina buonista. La vicenda si svolge apparentemente in due interni, un appartamento trascurato e sporco e un altro enorme, misterioso e opulento. Personaggi borderline, famiglie, la cucina raccontata sapientemente, ricordi, riflessioni,  i noiosi lavori di casa, la candeggina quando serve, la spesa, i travestimenti... Su tutto, il miele e il fiele di Busi.
Per quanti si accostano ad un suo libro pour la première fois, due consigli:
- se di stomaco delicato, intollerante al turpiloquio, meglio puntare sulle innocue operazioni editoriali di cui sopra;
- se insofferenti ad occasionali  critiche a Santa Romana Chiesa e alle religioni in generale, saggio non pretendere l'impossibile da sé e volgersi altrove.
Au contraire, se si apprezza la citazione insospettabile, il paragone ardito, un maggiore rigore etico nelle relazioni sociali, questa opera di Busi  può rivelarsi un autentico bonus.

El especialista de Barcelona, Aldo Busi, Dalai, 2013.
La verità sul caso Harry Quebert, Joel Dicker (La verité sur l'Affaire Harry Quebert, traduz. di Vincenzo Vega), Bompiani, 2013.



venerdì 28 giugno 2013

Shemà ve-Zachor

in lingua ebraica, significa “ascolta e ricorda” e proprio l’ascolto e il ricordo hanno permesso di trasmettere la memoria dei padri ai figli, quella preziosa tradizione collettiva e familiare su cui poggia l’ebraismo.
Ascolta e ricorda. Sguardo sulla letteratura ebraica dell’Ottocento e Novecento è il titolo dell’antologia critica di Teresa e Adele Salzano (a cura di Maurizio Del Maschio, PensaMultiMedia, Lecce, 2012) che porta alla luce un patrimonio culturale ancora largamente ignorato.
Le autrici hanno dedicato saggi monografici ad autori considerati quali Isaac Bashevis Singer, Elias Canetti, Henry Roth, Primo Levi, inoltre hanno tracciato una disamina della lingua  yiddish, sottolineandone il valore di coesione sociale, politica e religiosa.
Lo yiddish era la parlata giudeo-tedesca, il dialetto del popolo, databile tra il IX e il X secolo, rimase tale fino al 1700, infine fu riconosciuto come lingua nel 1908; era contrapposto all’ebraico, lingua sacra per accostarsi scritture, ma  gli scrittori ebrei compresero che, per farsi capire dal popolo, dovevano assumerne la lingua.
I “padri fondatori” di questa lingua e letteratura yiddish si fecero interpreti, ciascuno a suo modo, dei fermenti sociali che animavano lo shtetl, il villaggio ebraico, e ne raccontarono la vivace umanità e le sue tradizioni.
Solomon Moyseyevic Abramovich (1835 – 1917), conosciuto con lo pseudonimo Mèndele Mocher Sforim ( mèndele significa libraio ambulante!) fu un grande divulgatore e si schierò apertamente per l’emancipazione del suo popolo.
Isaac Leib Peretz (1852 – 1916), forse l’autore più conosciuto in occidente, subì l’influenza della letteratura tedesca e si impegnò per il riconoscimento dello yiddish quale trait d’union tra le spinte tradizionaliste e progressiste all’interno del mondo ebraico.
Il terzo padre fondatore, Sholem Aleichem (1859 – 1916), che significa “la pace sia con voi”,  pseudonimo di Shòlem Naumovic Rabinovic, usò l’umorismo come arma per superare le fragilità e vanità umane.
Si direbbe una letteratura al maschile perché le voci femminili sembrano essere rare, se si esclude Glückel von Hameln (1646 – 1724) che narrò, in yiddish, il suo dolore di vedova, oppressa dalle preoccupazioni economiche, non trascurando di annotare gli avvenimenti della sua comunità. E poi Lise Loewenthal (1922 – 2003) con il suo romanzo Shalom, Ruth, Shalom, rivolgendosi a giovani lettori, ha contribuito alla riflessione sulla Germania nazista, il Sionismo e l’immigrazione in Palestina.
Lo “sguardo” delle autrici, che abbracci autori illustri e insigniti del Nobel, o altri autori meno noti, è sempre rivolto agli anni della loro formazione, agli influssi culturali e politici che hanno subito e respirato. Ne risulta un affresco umano e storico, non privo di voci contrastanti, in cui figurano tutti i grandi avvenimenti che segnarono, nei secoli, la vita degli ebrei della diaspora.
L’antigiudaismo di matrice cristiana, che diede origine ai ghetti; la dialettica tra l’Ortodossia e l’Ebraismo riformato, in seguito all’ haskalàh, l’illuminismo ebraico; i pogrom con le grandi migrazioni dalla Russia e dalla Polonia verso l’Europa occidentale; l’influenza del Chassidismo (pietismo) e della Qabbalàh (ricezione) sulla presa di coscienza dei propri diritti; la Shoah e i negazionisti; il dialogo ebraico – cristiano.
Teresa e Adele Salzano, accostando una pluralità di temi e autori, presentati con un puntuale apparato bibliografico, hanno fatto di questo libro un invito alla conoscenza e allo studio per non disperdere un sapere antico che può aiutare ad interrogarsi, ogni giorno, sulle proprie motivazioni ad agire e a non allontanare da sé le responsabilità.








giovedì 6 giugno 2013

eternit


Chi non sa nulla dell'eternit, può considerarsi fortunato.
Chi si è imbattuto nelle sue conseguenze, molto meno.
Ma non è solo una questione di fortuna/sfortuna che lega l'eternit alla sorte di migliaia di persone nel mondo e, in Italia, specialmente alla città di Casale Monferrato. E' una storia di malattia e morte e la sentenza di appello del tribunale di Torino, pochi giorni fa, non ne segna ancora la fine.
Le vittime, ovunque siano, non se ne possono giovare e i loro familiari aspettano da decenni pillole di risarcimento. Tuttavia, le associazioni che si sono battute perché venisse riconosciuta la nocività del prodotto che usciva dagli stabilimenti Eternit, possono ora assegnarsi almeno un punto.
Confermata e lievemente accresciuta la condanna a diciotto anni di reclusione ( inferiore ai venti richiesti dall'accusa) al proprietario, Stephan Schmidheiny, ma ridotti i tempi di sua responsabilità penale, dal 1976 al 1986 e cancellato completamente il ruolo del comprimario, il già deceduto Louis De Cartier.
Non ci sono sufficienti motivi per rallegrarsi, giusto la possibilità di sperare, come ha sottolineato Bruno Pesce (responsabile AFEVA, Associazione Familiari E Vittime Amianto), che d'ora in poi non si possa più lucrare impunemente sulla salute dei lavoratori.
La miscela nefasta di amianto e cemento, identificata con il marchio di fabbrica che l'ha prodotta, viene ancora usata nei tre quarti del mondo e si può "conoscere" con una semplice ricerca che anche scolare e scolari della scuola primaria sarebbero in grado di compiere facilmente: storia, composizione, diffusione, effetti, studi, denunce, vittime.
Ma quanto e come abbia rappresentato una (falsa) promessa di lavoro, guadagno, riscatto sociale, modernità, è argomento più complesso, perciò mi affido alla narrativa che, senza cifre e analisi, parla un linguaggio sempre attuale e scatena emozioni vere.
Ternitti,  di Mario Desiati (Mondadori, 2011), è una storia emblematica di emigrazione, dalla Puglia alla Svizzera, per sopravvivere all'indigenza e, magari, ritornare nel proprio paese con un gruzzolo che permetta una vita dignitosa.
C'è amore, tenacia, anticonformismo in Domenica Orlando, detta Mimì, costretta in una vetreria dismessa, accampata con altre famiglie come la sua, diventate anch'esse di vetro, perché svuotate di intimità.
E la sua vita, la sua ricerca di felicità, andranno di pari passo con la "tosse catramosa", uno dei tanti regali di ternitti, lu ternitti, come suonava eternit, tradotto in pugliese.
Fatti e luoghi autentici, ma personaggi irriconoscibili in questo libro, trasformati dalla penna affettuosa e puntuale di Desiati. Un modo  per raccontare il disastro umano e ambientale di un lavoro sognato e rincorso che non ha mantenuto la sua promessa.

venerdì 31 maggio 2013

Una libraia, due librai, tre librerie

per parlare di libri nei libri.

Cominciamo con Il libraio che imbrogliò l'Inghilterra,  un libriccino comodo (61 pagg.) da portarsi appresso in una sala d'attesa o per compagnia in un viaggio su un treno regionale e dimenticarne, magari, lo squallore. Due storie, quella che ci interessa dà il titolo al libro e Roald Dahl la pubblicò nel 1986. Vi si può ritrovare un distillato di quella cattiveria che l'autore sapeva attribuire sapientemente ai suoi personaggi e respirare la polvere di una vecchia libreria, una delle tante di Charing Cross Road, London, dove magari ci siamo persi  a cercare un libro introvabile. Purtroppo ora ne sono soprvvissute poche all'assalto dei grandi brand della distribuzione libraria.
Stesso tipo di libreria, però dall'altra parte dell'Oceano, a Brooklyn, NY, "in una tranquilla via secondaria".  La libreria stregata, scritto nell'immediato dopoguerra da Christopher Morley, quale ideale prosecuzione di un'altra storia di libri, Il Parnaso ambulante. Abbondano qui le citazioni di mostri sacri della letteratura angloamericana e si sovrappongono alle massime che l'autore fa pronunciare alla coppia di eccentrici librai: "Chi ha passione per i libri non ha tempo né pazienza di studiare piani per ingannare i suoi simili in vista della ricchezza". Frequentata da appassionati bookworm, la libreria dal nome "Parnaso in casa" è sede e oggetto di una storia di spionaggio sui generis, a causa di un libro raro che compare e scompare e ci sono motivi sufficienti per restare inchiodati alla lettura fino all'ultima carezzevole pagina, delle sue duecentottancinque di pregiata carta Palatina Fabriano. Perché i libri e le librerie possono anche nascondere e custodire misteri.
Una libreria come progetto per riprogrammare la propria vita, per Jasmine, ne La libreria dei nuovi inizi. Si rivela tale un impegno accettato con riluttanza, giusto per sostituire un mese la zia libraia e poi nutrito del "respiro dei libri", senza orari e dormendo nel sottotetto. Niente di meglio, per dimenticare la fine di un matrimonio, che ascoltare le voci degli scrittori, suggerisce la zia. Sarà efficace per Jasmine? E, sul fronte economico, riuscirà a sopravvivere la piccola e molto particolare libreria indipendente o verrà fagocitata dai ben noti colossi, ancora loro,  della distribuzione libraria?


La libreria del buon romanzo è proprio speciale, raccoglie solo i libri che piacciono ai suoi due fondatori ma, anche in questo caso, la strada è segnata da insormontabili problemi finanziari. Per questa libreria molto selettiva, scrivono autrici e autori speciali, spesso celati da pseudonimi, e le loro vite sono romanzi nel romanzo.
Intrigante o deludente il finale, leggere per scoprire.




Un noir tutto italiano ne La libraia di Orvieto, verosimile la location, fantasioso il plot. Matilde, la nostra libraia, capita nella libreria "non troppo grande, non troppo piccola" di Alfredo "toscano di Grosseto, ghibellino, miscredente, mangiapreti e, per giunta, veterocomunista". Sulla sua bicicletta, Matilde se ne va a zonzo "nella controra", ma brutte storie emergono dal tempo che fu, incrinano il perfetto quadro di bucolica quiete appenninica  e impongono una sua presa di posizione.
Buon libro che, con la  scrittura fresca e punteggiata da un gradevole humour,  non ha nulla da invidiare ai gialli d'Oltralpe.



Storia vera, seguita da affaire giudiziario dopo la pubblicazione, ne Il libraio di Kabul. Il libro ha conosciuto un notevole successo  e merita di essere letto per lo sguardo realistico sulla realtà dell'Afghanistan post talebani. La giornalista norvegese che ha vissuto per circa un anno all'interno della famiglia di Sultan Khan, il libraio del titolo, racconta senza filtri la sua esperienza con un'attenzione privilegiata alla condizione delle donne, ancora e sempre in posizione subalterna. La puntualità della cronista, stimolata dalla curiosità della conoscenza, viene temperata dalla delicatezza del ricordo. Da leggere perché vero, importante e coinvolgente.





Il libro dei libri è un prodotto di pura fantasia: una serie di recensioni (alcune francamente indigeribili) di libri...inesistenti!
Proprio così, una prova di virtuosismo critico riuscita solo in parte. Il resto è una questione di gusti.



Probabilmente sopravvalutato Il caso dei libri scomparsi, ritenuto cult e rimasto a lungo fra i libri più venduti. Nell'Irlanda del Nord, una specie di Fantozzi, giovanotto che più sfortunato e goffo non potrebbe essere, va a fare il bibliotecario in uno sperduto villaggio, salvo scoprire che i libri sono scomparsi. Suo malgrado, dovrà vestire i panni dell'investigatore e destreggiarsi tra equivoci e situazioni che strappano un sorriso.
Uno di quei libri che si apprezzano maggiormente nella loro lingua originale.




Il libraio che imbrogliò l'Inghilterra, Roald Dahl (The Bookseller, traduz. di Massimo Bocchiola), Guanda, 1996.
La libreria stregata, Christopher Morley (The haunted bookshop, traduz. di Rosanna Pelà e Enrico Piceni), Sellerio, 1992.
La libreria dei nuovi inizi, Anjali Banerjee (Haunting Jasmine, traduz. di Roberta Cristofani e Valentina Zaffagnini), Rizzoli, 2011.
La libreria del buon romanzo, Laurence Cossé (Au bon roman, traduz. di Alberto Bracci Testasecca), Edizioni e/o,  2009.
La libraia di Orvieto, Valentina Pattavina, Fanucci Editore, 2010.
Il libraio di Kabul, Asne Seierstad (Bokhandleren i Kabul, traduz. di Giovanna Paterniti), Rizzoli, 2003.
Il libro dei libri, Luca Giorgi, Mattioli1885, 2011.
Il caso dei libri scomparsi, Ian Sansom (The Case of the Missing Books, traduz. di Claudio Carcano), TEA, 2008.

giovedì 30 maggio 2013

Il maggio dei libri


sta per concludersi e sono già pronti i suoi detrattori, a fare conti (quasi esclusivamente economici) sui libri più venduti o non venduti o su quelli che si sarebbero voluti vendere, ma nemmeno questa volta.
Iniziativa promossa dal Centro per il libro e la lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in collaborazione con l'Associazione Italiana Editori e con il patrocinio della Commissione Nazionale italiana per l'Unesco. Spero di non aver dimenticato nessuno.
Tutti questi illustri promotori per sottolineare il valore sociale della lettura come elemento della crescita personale, culturale e civile. Quale ne sia il bilancio, resta la positività di un appuntamento, al suo terzo anno di esistenza,  che pone i libri in primo piano e si declina in progetti (per scuole e biblioteche), premi (tra cui il Premio Andersen), fiere (vedi Torino).
Assegnato quest'anno il riconoscimento del Premio Andersen - Promozione alla lettura  a Carla Ida Salviati (direttrice della rivista La vita scolastica, autrice di numerosi testi di divulgazione didattica), con la motivazione: "Per l'intelligente e inesaurubile attività svolta nel campodella promozione della lettura vista anche come occasione costante di impegno civile a favore delle giovani generazioni". 
Per maggiori informazioni sul premio, che riguarda la letteratura per l'infanzia, e sulla rivista che lo promuove, si consiglia di visitare il sito http://www.premioandersen.it/edizione2012/?page_id=891.





mercoledì 22 maggio 2013

La libreria dei ragazzi

di Milano è stata fondata da Roberto Denti nel 1972, una delle poche, nel suo genere, a quel tempo e ancora oggi. Da allora è diventata un simbolo della promozione della lettura, un monumento alla letteratura per l'infanzia.
Roberto Denti non c'è più. 
Il tusitala, che dispensava storie ed esperienze di vita ai piccoli e ai grandi frequentatori della sua libreria, ci ha lasciati.
E' stato un grande amico di Gianni Rodari e, come lui, prolifico scrittore di riferimento per la mia generazione di insegnanti, bibliotecari e librai.
L'avevo ascoltato a Bologna, alla Fiera del libro, nel marzo scorso; gli chiedevano pareri sull'editoria, l'avvento del digitale, i buoni e i brutti libri. Lui, malfermo, poggiava sul suo bastone tutta una vita spesa per i libri ma, sorretto dall'amatissima Gianna Vitali, rispondeva con voce ferma, chiara, uno sguardo sorridente, diretto.
Mi piace ricordare alcune sue parole: "Oggi sono gli scienziati ad avere più fantasia perché sanno prospettare il cambiamento: la scienza ha bisogno di fantasia, ma quest'ultima non nasce con la scienza, magari con la narrazione, il disegno...".

tra i suoi libri,
Lasciamoli leggere. Il piacere e l'interesse per la lettura nei bambini e nei ragazzi, Einaudi, 1999.
Come far leggere i bambini, Editori Riuniti, 1982 (difficile da reperire)
I bambini leggono, Il Castoro, 2012.
Cento libri per navigare nel mare della letteratura per ragazzi, scritto in collaborazione con Donatella Zilliotto e Bianca Pitzorno, Salani, 1999.



martedì 14 maggio 2013

Son tutte belle le mamme del mondo

...
diceva una celebre canzone degli anni Cinquanta, di Umberto Bertini, adesso si rivela interessante e attuale (solo) questo verso perché il testo rispecchia quella mistica dell'amore materno messa in discussione dal movimento femminista.
Invece i titoli che seguono prevedono (almeno) la scelta della donna, riguardo il suo progetto esistenziale, declinata secondo i sentimenti, le opportunità, i conflitti che la vita pone.
Comincio con il già citato (nel post La questione cibo) Madre de-genere. La maternità tra scelta, desiderio e destino, perché fondante, autorevole e adeguato al tema; presenta voci femminili provenienti da diversi ambiti di studio e pone la questione della maternità nelle molteplici raffigurazioni offerte dall'arte, dalla filosofia, dalla storia, dal cinema, dalla letteratura contemporanea, dalla pubblicità. Un testo da cui partire e a cui tornare, per approfondire o semplicemente per il gusto di rileggere.
Ironico e lieve il diario Nonsolomamma, di Claudia De Lillo. Giornalista e madre di (allora) due bambini (adesso tre),  interpreta le difficoltà quotidiane con la metafora della donna elastica, che arriva a tutto, però a prezzo di continui aggiustamenti sui tempi e sulle priorità della sua vita.    
Completamente diversa la lettura che impone Figlie e madri, dove sedici autrici  raccontano un rapporto quasi sempre problematico e la narrazione, talvolta, appare di insopportabile crudezza.  Fra i nomi compaiono Isabel Allende, Margaret Atwood, Alice Walker, Edna O'Brien. Un libro da accostare con impegno e da sostenersi con una precisa motivazione di genere, importante ma non rassicurante.
Di mamma ce n'è più d'una, ci ricorda (la fantastica) Loredana Lipperini, ma i modelli sembrano essere solo due, perché "davanti ad una madre che lamenta stanchezza o inadeguatezza, ne arriverà sempre un'altra che sentenzierà: - se non voleva sacrificarsi, poteva evitare di fare figli -. Nell'ampia trattazione di Lipperini molti i temi analizzati, tra cui la retorica del sacrificio e il suo contraltare, l'Ipermadre; l'uso del dolore del parto come strumento di controllo sulla donna; la scelta dell'allattamento prolungato e la colpevolizzazione di quante non allattano. Un ritratto a tinte forti della realtà del nostro e di altri Paesi, dove la teoria dell'attaccamento materno viene veicolata come assolutamente naturale e non anche  prodotto culturale, così da giustificare la specializzazione del lavoro femminile e l'identificazione assoluta fra donna e madre. Un'idea che non esclude, purtroppo, "solitudine e accanimento" intorno alle madri e la donna che non ha figli rimane quella che, per motivi vari, "non è capace". Domanda: una donna può essere "persona" o può essere definita tale solo  come "madre"? E cosa ne è dei padri, si chiede l'autrice, perché anche i padri vogliono cambiare, ma non è semplice neppure per loro veder accettate le richieste di riduzione d'orario per dedicarsi ai figli. Insomma, conclude Lipperini, le madri "dovrebbero scendere dall'altare dove sono state poste, ma dove ancora più sovente si pongono. Forse il patriarca non esiste più, ma la matrona non è mai scomparsa". La strada per distanziarsi dalle ingabbianti figure parentali va percorsa insieme, in un mondo che non prevede più una sola modalità genitoriale, bensì  famiglie adottive, coppie omosessuali, famiglie allargate.
Sull'influenza che ha avuto la religione cristiana cattolica nel definire il ruolo della donna si vedano, seppure diversi tra loro, Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna e In nome della madre. Nel primo, si mette in evidenza come la Chiesa abbia avuto bisogno, per la diffusione capillare della sua dottrina,, di un'autorità paterna e l'abbia assolutizzata nel ruolo pontificale di Pietro e di una figura accogliente e contemplativa, individuata nel ruolo di Maria.
Nel secondo, troviamo la poetica della maternità di Maria, narrata da sé medesima, giovane ragazza madre. Un'opera di fantasia che trae spunto da riferimenti storici e geografici autentici.
Mia madre, di Doris Lessing, è la lucida e sofferta analisi di un rapporto conflittuale irrisolto. Se prevale sopra ogni cosa il desiderio di indipendenza dai genitori,  anche quando provoca un allontanamento inutile e doloroso per loro, il distacco fra le parti è leggibile in termini di indifferenza, ostilità,  inutilità. Una piccola gemma, questo libro, da leggere e rileggere, purtroppo quasi introvabile.
Imponente nelle sue cinquecentoundici pagine il volume di Angelika Schrobsdorff, scrittrice notissima e molto apprezzata in Germania. Nel suo Tu non sei come le altre madri, la storia di Else, madre trasgressiva che attraversa il suo tempo seguendo passioni travolgenti, incredula di fronte alla tragedia nazista, esule, prima abbiente e poi povera, a suo modo protettiva e amorevole nei confronti dei figli. Un ritratto preciso e impietoso di una donna indimenticabile.
Nei detti familiari di Non vi lascerò orfani, l'eco di quel Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg, però senza l'autarchia della dittatura fascista, ambientato nei già più opulenti anni Sessanta.  L'autrice commuove e diverte quando  riesce ad anestetizzare il dolore della perdita della madre e  farne occasione per ricordare la vita, nei piccoli dettagli quotidiani e nelle grandi questioni. Fa emergere "tutto l'amore che chi se ne va ci ha dato", perché "quello che non abbiamo dato pesa più di qualunque cosa possiamo aver perso".
Sono tanti altri i titoli sul tema in cui mi sono imbattuta, e l'elenco potrebbe continuare ma, per evitare la noia a chi legge, mi limiterò a fare cenno di alcuni nella bibliografia. 





Madre de-genere. La maternità tra scelta, desiderio e destino, a cura di Saveria Chemotti, Il Poligrafo, 2009.
Nonsolomamma, Claudia De Lillo, TEA, 2008.
Figlie e madri, a cura di Joyce Carol Oates e Janet Berliner (Snapshot: 20th Century Mother-Daughter Fiction, traduz. non indicata), Marco Tropea Editore, 2003.
Di mamma ce n'è più d'una, Loredana Lipperini, Feltrinelli, 2013.
Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna, Michela Murgia, Einaudi, 2011.
In nome della madre, Erri De Luca, Feltrinelli, 2006.
Mia madre, Doris Lessing (Impertinent Daughters. My Mother's Life, traduz. di Paola Mazzarelli), Bollati Boringhieri, 1988.
Tu non sei come le altre madri, Angelika Schrobsdorff (Die bist nicht so wie andre Mutter, traduz. di Monica Pesetti), Edizioni e/o, 2011.
Non vi lascerò orfani, Daria Bignardi, Mondadori, 2009.
Lettere alla madre, Charles Baudelaire (a cura di Cosimo Oresta, traduz. non indicata), Arnoldo Mondadori Editore, 1994.

per bimbe/i:

da piccole/i  a grandi!
Viva la mamma, Edoardo Bennato, illustrazioni di Cecco Mariniello (libro + CD),Gallucci, 2009.

dai 5/6 anni:
Tutta sua madre, Roddy Doyle (Her mother face, traduz. di Monica Romanò), illustrazioni di Freya Blackwood, Salani, 2013.








mercoledì 24 aprile 2013

De senectute



Anziani, vecchi, terza età. 
Qualche indecisione sul termine da attribuire agli over sixty/seventy/eighty si avvertiva già prima che una nuova categoria linguistica si aggiungesse: i/le rottamabili. Si inferisce che qualcuno dovrebbe agire in qualità di rottamatore/trice e qualcuno potrebbe subire nella veste di rottamato/a. 
A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge il nutrito gruppo dei baby boomer: quella generazione nata fra il 1945 e il 1965, adesso esodata o in area pensione o non ancora abbastanza attempata da accedervi, soprattutto con un'aspettativa di vita tale da far vacillare il già traballante welfare nazionale.
Sarebbe, almeno in Occidente, una "generazione privilegiata (...) cresciuta in un'epoca di prosperità, di aumento dei servizi pubblici e di miglioramento dell'istruzione". Una generazione che avrebbe "voluto il cielo" ed è stata segnata dalla politica - leggi sessantotto - ma ha segnato, a sua volta, tutte le istituzioni, in primo luogo la famiglia, cambiandone le regole. Ora, ormai vecchia, continua a sperimentare stili di vita alternativi. Ne parla Federico Rampini nel suo agile pamphlet e presenta interessanti paragoni tra la situazione nel nostro paese e quella degli USA, come l'espulsione dal lavoro di migliaia di cinquantenni per risolvere crisi aziendali.

 Una marcata attenzione di genere nel libro di Loredana Lipperini.  L'autrice sottolinea che la percezione devastante della parola vecchiaia sia da mettersi in relazione con il culto sfrenato della giovinezza: "la mia età non è terza a nessuno". Le stesse definizioni di vecchiaia e giovinezza sono sfumate e si colgono solo nelle punte estreme di intolleranza reciproca.

Norberto Bobbio, con l'understatment che gli era proprio, nel suo De senectute, rimette in ordine le categorie temporali. "La soglia della vecchiaia, in questi ultimi anni, (attenzione, lo scriveva nel 1996!) si è spostata di circa un ventennio (...) il sessantenne è vecchio solo in senso burocratico" perché "la vecchiaia non burocratica ma fisiologica comincia quando ci si approssima agli ottanta (...) nulla però prova la novità del fenomeno meglio che il constatare la mancanza di una parola per designarlo". Così avanzano i forestierismi agés/très agés. La vecchiaia, sempre secondo Bobbio, è soprattutto "un grande e irrisolto, difficile da risolvere, problema sociale, non solo perché è aumentato il numero dei vecchi, ma anche perché è aumentato il numero degli anni che si vivono da vecchi".
"Il mondo dei vecchi, di tutti i vecchi, è in modo più o meno intenso il mondo della memoria (...) la dimensione in cui vive il vecchio è il passato". Poi, con una pennellata autobiografica, Bobbio aggiunge: " Ho la vecchiaia melanconica, intesa la malinconia come la consapevolezza del non aver raggiunto e del non più raggiungibile".

Uno sguardo sulla vecchiaia degli altri e sui sentimenti che suscita si trova ne Il diario di Jane Somers dove la giornalista cinquantenne Janna incontra per caso una vecchia strega. Scrive proprio così Doris Lessing, per aggiungere subito dopo "Una donnina minuscola, curva, con un naso che scendeva a incontrare il mento, vestiti pesanti e polverosi, neri e qualcosa di non troppo dissimile da una cuffia vittoriana in testa (...) Occhi azzurri bellicosi (...) ma c'era qualcosa di meravigliosamente dolce nel suo sguardo".
Le due donne si piacciono per qualche strano motivo e intrecciano un legame basato sulla fiducia e sulla generosità ed entrambe ricevono più di quanto donano. La più giovane adatta il suo passo a quello incerto di Mrs Maudie Fowler, in gioventù creativa modista, adesso povera e sola. Tuttavia Janna stenta a farsi coinvolgere completamente in questo rapporto, infatti mantiene una certa distanza che provoca dolore in Maudie, a cui la vita non ha regalato nulla. Nel romanzo c'è tutta la mestizia, la solitudine più o meno derisa, le manie dei vecchi e le  fragilità che sono costretti ad esporre, nei loro corpi deformati dal dolore, quando vengono ospedalizzati. Corpi lontani anche dal ricordo di quel che sono stati decenni addietro. E c'è anche l'orgogliosa tenacia con cui si sottraggono allo sguardo, spesso giudicante, degli operatori sociali.
Pubblicato nel 1983 in Gran Bretagna, The diary of a good neighbour (Il diario di una buona vicina) con lo pseudonimo di Jane Somers, il libro fu ignorato dalla critica, benché Lessing fosse già un'affermata scrittrice. L'esperimento venne svelato l'anno seguente e il romanzo conobbe il meritato successo. In Italia fu pubblicato da Feltrinelli nel 1986 con la bella traduzione di Marisa Caramella.
E' un libro straordinariamente attuale, commovente e indimenticabile che ricorda quanto la vecchiaia disturbi, annoi, impegni nel lavoro di cura e costringa ad interrogarsi sul senso della vita.

Vecchi - anziani ancora decisi a vivere secondo le loro abitudini si incontrano invece nel delizioso E poi, Paulette... Simpatici e scorbutici vecchietti scoprono il piacere e l'utilità di abitare insieme, aiutandosi nella condivisione delle spese, senza disdegnare l'aiuto pratico di qualche giovane, nativo digitale, perché no? Così gli estremi dell'esistenza si incontrano e si riallaccia il filo del dialogo e "tutto ciò che avrebbe potuto essere un problema sul piano organizzativo" si rivela infine "di facile soluzione". Perché è "bello davvero poter chiacchierare con qualcuno fino alle tre del mattino, sganasciarsi dal ridere (...) o raccontarsi cose personali e persino qualche segreto". Insomma un libro per contrastare lo strisciante cinismo che si accompagna all'approccio con i vecchi, ricordando, in primis, che sono portatori di sentimenti come le persone più giovani.

Meno rosea la prospettiva che si evince da Una storia chiusa, di Clara Sereni. In un soggiorno per anziani ancora autosufficienti, ciascuno con le sue battaglie perse e vinte e i ricordi più o meno lieti, accomunati dai riti quotidiani e dagli acciacchi, trova rifugio una magistrata, nel timore di rappresaglie per certe sue indagini.
Il racconto rimane sospeso tra la volontà di dire e quella di nascondere, forse (troppo) ispirato alla scelta analoga dell'autrice di andare (davvero) a vivere in una struttura del genere. Si respira, tra le righe, un'atmosfera di irrisolto conflitto interiore.

Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. Manifesto generazionale per non rinunciare al futuro, Federico Rampini, Mondadori, 2012.
Non è un paese per vecchie, Loredana Lipperini, Feltrinelli, 2010.
De senectute, Norberto Bobbio, Einaudi, 1996.
Il diario di Jane Somers, Doris Lessing (The Diaries of Jane Somers, traduz. di Marisa Caramella), Feltrinelli, 1986.
E poi, Paulette... , Barbara Constantine (Et puis, Paulette..., traduz. di Margherita Botto), Einaudi, 2012.
Una storia chiusa, Clara Sereni, Rizzoli, 2012.