Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

venerdì 13 dicembre 2019

Le sorelle Field



Di sorellanza ha molto parlato il movimento femminista, nel senso della solidarietà tra donne, per aiutarsi concretamente e affermare, insieme, con più forza, i propri diritti  superando le disparità di genere. I percorsi della sorellanza, sebbene funestati da ripensamenti e inevitabili competizioni, sono ancora attivi e forniscono tuttora elementi per riflettere, essendo probabilmente l'eredità più utile e vivace degli anni Settanta del secolo scorso. Ma il rapporto tra sorelle, unite dal vincolo familiare, non è meno ricco di implicazioni. Pensiamo alle sorelle celebri della letteratura, le Austen, le Brontȅ, le Woolf, le De Beauvoir e quelle che abbiamo incontrato nei loro libri, come le sorelle March, che una certa critica, ormai superata, identifica pari pari con le Alcott.
Nel romanzo  Le sorelle Field, di Dorothy Whipple, per la prima volta tradotto in italiano da Simona Garavelli, troviamo Lucy, Charlotte e Vera, orfane di madre, con tre fratelli alquanto scapestrati. Pubblicato nel 1943, ma ambientato alla fine degli anni Trenta del Novecento, sorprende per l'attualità dei temi e la scrittura fluida eppure puntuale, il tocco lieve e profondo insieme con cui vengono tratteggiate le protagoniste. La narrazione trascura quasi subito i fratelli, emigrati in Canada o rimasti a Londra, del tutto ininfluenti nella storia e si occupa invece delle sorelle che, con caratteri e temperamenti diversi, approdano a matrimoni altrettanto diversi.  L'abbiamo imparato nei romanzi di Jane Austen e misurato sulla nostra pelle, fino alla metà del secolo scorso, che le donne non potevano sottrarsi al destino di mogli, pena l'invisibilità sociale e la precarietà economica, quindi anche   le Field scelgono la loro strada nella vita sulla base delle pressioni ambientali, dell'educazione ricevuta e si sposano.
Dorothy Whipple, quando rimproverata perché ai suoi romanzi mancava intreccio o lieto fine,  usava dire che non scriveva libri di trama, ma di personaggi e  questo romanzo rivela la sua complessità proprio nella definizione dei caratteri delle sorelle e nelle loro  scelte di vita, prospettando anche il tema, tristemente attuale, della violenza psicologica nel matrimonio. Quella lama sottile che taglia di netto l'autostima e fa vacillare la sicurezza, nutrendosi di ambiguità tra il fuori-società e il dentro-famiglia, così da rendere poco fattibile la ribellione a un marito autoritario. È Charlotte, tra le sorelle Field, la più fragile e vessata, incapace di decodificare i segni del potere nella condotta manipolatoria del marito, tesa ad annullare la sua volontà e a rubarle l'affetto dei figli.  Non sembri strana la sua parabola di autodistruzione perché i meccanismi della violenza psicologica sono sovente, ancora oggi,  invisibili agli occhi estranei e, spesso, difficilmente riconosciuti dalle stesse  vittime.
Vera è invece la sorella più frivola, completamente votata al tentativo di preservare il dono della bellezza ricevuta, però anche lei fa i conti con la realtà degli affetti, quelli trascurati e quelli rincorsi e paga il conto che puntualmente arriva. È la maggiore, Lucy, a ricoprire il ruolo di saggia, di conforto e supporto in ogni situazione.  Si afferma come la figura solida, disposta a vegliare sempre sulle sorelle minori, con un'opera di maternage fin dalla loro adolescenza, poi nei  matrimoni, seguendole con uno sguardo  attento e preoccupato,  pronta ad aiutarle in presenza e a distanza.
Quindi romanzo di famiglia, affetti, legami e, purtroppo, soprusi. Si può leggere abbandonandosi alla scrittura apparentemente semplice che fa di questo libro, come degli altri di Whipple, un autentico page-turner, ma si può anche operare una lettura più profonda, confrontandosi con l'attualità del tema centrale e scoprendo quanta strada sia ancora da compiere perché le donne si affranchino dalle forme più nascoste e subdole di violenza.  

Le sorelle Field, Dorothy Whipple (traduz. Simona Garavelli), Astoria, 2019.
 

Dorothy Whipple (1893 - 1966) fu una scrittrice molto amata e letta in Gran Bretagna nel periodo tra le due guerre, poi cadde nel dimenticatoio. Da Le sorelle Field (They Were Sisters),  pubblicato dopo l'enorme successo di The Priory  e di They Knew Mr. Knight, fu tratto il film omonimo di Arthur Crabtree nel 1945, che vide l'attore James Mason nel ruolo del marito prepotente e odioso. 
L'auspicio,  peraltro già espresso (Leggere Donna, n°163, 2014), è che tutta l'opera di questa autrice inglese sia resa nota al pubblico italiano perché presenta ritratti di donne che imparano dai loro errori, oppure vi si incaponiscono, praticano il perdono senza perdere dignità, si mettono dolorosamente in gioco in un periodo storico che le scoraggiava a farlo. Whipple scrive  senza sottolineare una critica di genere, senza esplicitare una rivendicazione pugnante di diritti e senza risentimento nei confronti degli uomini. Sono i motivi per cui  fu ignorata dal movimento femminista, ma potrebbero oggi farla riscoprire perché i tempi sono maturi per un confronto più disteso fra uomini e donne.

già pubblicato su
https://cartesensibili.wordpress.com/2019/10/28/lauradeilibri-laura-bertolotti-le-sorelle-field/



giovedì 12 dicembre 2019

Ricette migranti




Da un'esperienza collaudata in diverse realtà italiane, Indovina chi viene a cena, è nato un libro di ricette sui generis: venti piatti, venti storie di vita. Se più affascinanti le ricette o le narrazioni è questione di punti di vista, nel suo insieme il libro si pone come un esperimento editoriale di sicuro interesse, persino come strenna natalizia. Si presenta curato nella veste grafica, ricco di illustrazioni e corredato da finestre di approfondimento sui Paesi di provenienza delle ricette, con il testo delle stesse anche in lingua originale.
Il format "Indovina chi viene a cena" nasce dalla Rete Italiana di Cultura Popolare, importato dall'Associazione Veronetta129 nel 2013. Si tratta di autentiche "cene al buio", di fatto  famiglie di stranieri invitano famiglie veronesi, native o d'adozione, a casa loro, per un pasto all'insegna dell'accoglienza e dello scambio culturale e l'Associazione si occupa di selezionare e abbinare ospiti e ospitanti per garantire la sicurezza e la varietà delle proposte.
Le autrici hanno vissuto personalmente l'esperienza di ospitalità, recuperando ricette e storie, e gli incontri sono  diventati una sorta di  viaggio, grazie  al cibo che  si fa tramite di memoria, curiosità, conoscenza e si pone come un formidabile strumento di integrazione sociale.
Nell'introduzione si ricorda infatti come anche la cucina italiana cosiddetta tradizionale sia il frutto di contaminazioni successive e possa dirsi meticcia. Riconoscere ingredienti noti nel börek turco (fagottini ripieni) o nel  Koliko Koudo azin he noughagha (patate dolci fritte e uova in salsa di pomodoro piccante) del Togo, per fare qualche esempio, funziona da collante nelle relazione. E anche scoprire la varietà infinita di cibi cinesi, oltre l'involtino primavera,  aiuta a superare lo stereotipo che assegna la superiorità indiscutibile alla nostra cucina rispetto le altre.
Una considerazione sorge spontanea: questo libro nasce a Verona, città controversa per molti motivi, talvolta agli onori della cronaca per episodi di violenza. Ebbene, dimostra l'esistenza di azioni positive che possono essere valide anche in altri contesti e il libro si prospetta appunto come mediatore di valori e sapori da conoscere e diffondere.

Ricette migranti, Elena Guerra, Alice Silvestri, Erica Tessaro, CIERRE edizioni, 2019.

Le autrici sono tra le promotrici di attività e progetti dell'associazione Veronetta 129.
Elena Guerra, giornalista, organizzatrice di eventi.
Alice Silvestri, insegnante di italiano come lingua seconda.
Erica Tessaro, insegnante ed educatrice interculturale.


già pubblicato su:
(segue intervista a Elena Guerra)

"Indovina chi viene a cena", il rimando al film è immediato, ma in questo caso  di che cosa si tratta?
È un progetto che l'Associazione Veronetta129 ha importato, per così dire, dalla Rete Italiana di Cultura Popolare,  ideatrice del format nel 2011, reso permanente l'anno successivo. Si tratta di autentiche "cene al buio" che preparano cittadini di origine straniera invitando persone che si rendono disponibili a un'esperienza di scambio culturale, a partire dal cibo. La nostra Associazione è il tramite a cui si indirizzano la richiesta di partecipazione, un documento di identità, l' eventuale segnalazione di intolleranze alimentari e il modulo di adesione, scaricabile dalla pagina Facebook del progetto. Gli ospiti non conoscono le persone che li accoglieranno, né la loro nazionalità, sapranno solo indirizzo e nome il giorno prima della cena.
Gli abbinamenti hanno dato luogo a qualche problema?
Curo questo progetto dal 2013, con  Alice ed Erica, e posso affermare che ha sempre incontrato molto interesse e favore da parte dei cittadini veronesi, immigrati e non. Lo constato dalle fotografie e dai numerosi riscontri che arrivano all'Associazione, sono note anche vere e proprie amicizie nate in seguito alle cene. Ormai abbiamo organizzato più di cinquanta incontri, con cadenza mensile, abbiamo trenta famiglie ospitanti di almeno ventotto nazionalità, posso concludere che soltanto in due occasioni si siano verificati incidenti culturali di rifiuto. Gli abbinamenti non sono un problema, piuttosto non è sempre scontato e semplice reperire le famiglie ospitanti. C'è chi desidera ricevere una tantum e chi, invece, individua la possibilità di ricavare un esiguo income dall'iniziativa.
Normalmente, come ospiti, si porta un piccolo presente, ma come ci si regola se non si conosce la famiglia?
Non conoscendo nazionalità e usi della famiglia ospitante, diamo indicazione di seguire la norma generale, stabilita dalla Rete di Cultura Popolare: recarsi all'incontro provvisti di una busta chiusa contenente 15€ a persona. È un contributo minimo che arriva direttamente alle famiglie, senza transitare dalla nostra Associazione, per garantire la copertura parziale dei costi.
Voi volontarie e curatrici del progetto partecipate alle serate?
Soltanto quando si tratta di famiglie alla prima esperienza di ospitalità. Preferiamo non interferire, la nostra mediazione avviene prima, come ho spiegato.
Allora adesso parliamo del libro Ricette Migranti che è nato da questo progetto, com'è nata l'idea?
L'idea del libro è stata suggerita da un'ospite particolarmente entusiasta che ha creato la connessione con la casa editrice e noi tre abbiamo collaborato con le rispettive competenze, Erica per la trascrizione delle ricette, Alice per le fotografie e io per le storie, perché volevamo realizzare un libro che restituisse l'umanità degli incontri attraverso i "piatti" della memoria e del cuore. In particolare, è stata curata la trascrizione delle ricette anche nella lingua madre degli ospitanti, così da rendere il testo utile nei corsi di Italiano come lingua seconda. Venti piatti, venti storie di vita, le narrazioni sono regali che rendono possibile un viaggio in Paesi diversi in cui rintracciare anche le nostre radici gastronomiche e misurare la contaminazione feconda che genera e custodisce il cibo.
Mi sembra importante che questo libro, sotto il segno dell'accoglienza e dell'integrazione, sia nato proprio a Verona, una città complessa e controversa, come sappiamo.
Il libro nasce a Verona, ma aspira a viaggiare oltre la città perché il messaggio che vuole veicolare è di apertura al mondo, a partire dalla cucina, che è meticcia da sempre, incontro e snodo di esperienze e materia prima. E ci sembrava importante sottolineare, in controtendenza all'immagine della città,  la capacità delle e degli abitanti di Verona, di svariate origini, di saper accogliere ed essere accolti intorno a una tavola imbandita.




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