Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

lunedì 7 dicembre 2020

La luna e la figlia cambiata


Quante volte è successo, leggendo un saggio, di avere l'impressione di ascoltare la voce di chi ha scritto, soprattutto se si ha avuto occasione di un incontro, ancorché virtuale, con l'autore o l'autrice? Nei romanzi non succede quasi mai. Tanto i saggi risultano didascalici, salvo rare eccezioni come quella mirabile di Virginia Woolf, tanto i romanzi fanno dimenticare gli eventuali spunti autobiografici e non ci si chiede, perduti nella trama,  se la storia sia vera o inventata. Il romanzo poggia su una struttura, si vale di metafore, salti temporali, si nutre di miti, si complica con sdoppiature di personaggi e si vale di stili che attraversano i generi letterari. Il saggio riflette lo studio e la documentazione di un problema fino a un determinato momento storico, invece il romanzo è destinato a durare nel tempo e a parlare sempre in modo diverso a chi legge.

Succede con La luna e la figlia cambiata, il cui titolo evoca immediatamente la novella di Pirandello  Il figlio cambiato (1902), e l'analogia prosegue con richiami al folklore siciliano, ma qui c'è una voce bambina che racconta un'esperienza di rifiuto-accettazione da parte della madre biologica. Non è l'intreccio a inchiodare alla pagina, anche se succede fino all'ultima riga, è piuttosto il dolore che questa bimba cerca di elaborare inventandosi una strategia di fuga per darsi una spiegazione accettabile mentre la sua vita, interrotta da inspiegabili gesti parentali, scorre tra solitudine, malinconia e onde di rabbia adulta, 

Onde che sono anche del mare, vagheggiato e vissuto ora come oblio, ora come distanza dalla rimpianta esistenza "di prima". Un mare che respira (sciatu è il respiro) tra le righe e viene rappresentato graficamente dagli inserti di poesia visiva, in cui l'autrice, Maria Cannata, sceglie un preciso legame tra segno e significato per costruire un testo senza argini e confini.

«Tavola era il mare.

Tavola di metallo grigia e immobile. [...]

Mare e cielo avevano lo stesso colore metallico, una cosa sola se non fosse stato per quel respiro leggero che andava e veniva.[...]

Il mare si era un poco increspato.

Sciatu luntanu.                                    

Sciatu vicinu.

 Il rapporto madre-figlia, sbilanciato dal potere genitoriale, non si nutre di parole ma di azioni, anche violente, giustificate dall'ossessione  della madre per la pulizia e il conformismo alle regole di vicinato. L'assenza di parole, di spiegazioni, costringe la protagonista a trovare un escamotage per tollerare il dolore della separazione da una vita completamente diversa a cui è stata strappata.

«Lina carissima, forse anch'io, senza accorgermene, sono finita in una strana fiaba. Com'è possibile che questa sia la mia famiglia? Io non conosco nessuno. La Madre mi strattona da una parte all'altra del  Cortile, perché tutti mi vedano e loro mi guardano come se invece che una bambina fossi "una cosa strana", venuta chissà da dove. e poi, parlano una lingua che non capisco e quando, come ci hanno insegnato le Zie, dico: "scusi", o "per piacere", "grazie", tutti ridono e si divertono come se vedessero una bambola parlante. Così tengo la bocca chiusa e aspetto che tutto finisca.»  

Nella  vita della bambina la figura di Jana, con le sue storie, come Lunedda e Rosamarina, un toccasana per far sognare i bambini e le bambine del cortile, svolge una funzione regolatrice e salvifica.

«Lunedda era una ragazza molto bella! Ogni giorno davanti allo specchio si guardava il viso di latte, si pettinava i capelli di seta.

La Madre la chiamava: - Lunedda! C'è il pane da infornare! [...]

Lunedda non ascoltava. [...]

Un grido straziò l'aria e fece ammutolire i grilli.

Mille pezzettini di specchio si sparsero per il cielo e mostrarono alla notte il viso bruciato della bella Luna.»

Maria Cannata si è valsa di una lingua arcaica che guarda al dialetto appropriandosene per descrivere meglio una realtà che vive di tradizioni e miti rivisitati, una vita di cortile con la prossimità di personaggi  poveri ma portatori di un sapere antico che prescinde dall'alfabetizzazione.  Il dolore della bambina contagia chi legge ma non lo turba perché  è illuminato da squarci di generosità immensa e prevale infine un  sentimento filiale che riesce a sopravvivere e declinarsi, a sua volta, nel materno.

 

La luna e la figlia cambiata, Maria Cannata, Gabrielli Editori, 2011 (il libro è disponibile sulle piattaforme di acquisto on line).

Maria Cannata nasce a Catania e si laurea in Lettere Moderne, consegue poi la specializzazione in Storia all'Università di Urbino. Segue una carriera di insegnante e un'opera ventennale di promozione culturale svolta come Presidente de Il Circolo della Rosa di Verona. La figlia cambiata è il suo primo romanzo.

già pubblicato su

https://cartesensibili.wordpress.com/2020/11/28/lauradeilibri-laura-bertolotti-la-luna-e-la-figlia-cambiata/