Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

venerdì 28 agosto 2015

Femminile esorbitante

Per ammissione dell’autrice, questo  non è un saggio «perché in qualcosa il discorso sarebbe senz’altro più disciplinato e il tono decisamente meno spassoso». Insomma, Chiara Turozzi, in Femminile Esorbitante, sembra divertirsi a narrare il lavoro di ricerca, studio e fatica di secoli di scrittura femminile. Non è una carrellata di protagoniste, aggiunge l’autrice, ma certo risulta un invitante catalogo di soggetti pensanti attivi nel comporre un ordine nuovo, da e per le donne.
A partire da Trotula de Ruggiero, medica della Scuola di Salerno che, nel 1050, scriveva il primo trattato di ginecologia e ostetricia, occupandosi anche del problema dell’infertilità e indicandone audacemente, persino,  la responsabilità maschile.
Le voci delle donne attraversano i tempi, gli ambiti, si infrangono contro le categorie consolidate e i baluardi della Chiesa, oppure la scelgono, perché anche misurarsi con Dio può inaugurare un’insolita libertà o, almeno, far saltare il controllo dell’uomo sulla propria vita e aprire allo studio.
Nel Settecento francese, alcune donne dell’aristocrazia inventarono un modo nuovo e salottiero per stare insieme  parlando di letteratura e politica.  Erano le Précieuse, le Preziose. Ma arrivarono gli illuministi, con l’idea di una sola e unica ragione e fecero finire il divertimento.
E la Rivoluzione Francese, a dispetto dell’universalità dei diritti di cui si faceva portavoce, soffocò la libertà delle donne, infatti Olimpe de Gouges fu ghigliottinata anche per la sua coraggiosa Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (Declaration des droits de la femme et de la citoyenne, 1791).
Ma le donne sono inarrestabili, afferma Turozzi, penna in una mano e mestola nell’altra, scrivono e scrivono e pensano, pensano. Declinano ragione e sentimento, come ci insegna Jane Austen (1775 - 1817), e magari si rifugiano sotto pseudonimo, come Mary Anne Evans (1819 - 1880), che pubblica al maschile, col nome di George Eliot, e ci regala ritratti in bilico tra desideri grandiosi e quotidianità mediocre. Le donne scrivono, indignate e curiose del mondo, sempre, come Charlotte Brontë (1816 - 1855), e impegnate, come Doris Lessing (1919 - 2013) a scoprire una nuova libertà per le donne, né emancipate, né asservite.
Perché donne non si nasce, si diventa, ce l’ha insegnato Simone de Beauvoir (1908 - 1986) che, ne Il Secondo Sesso (Le deuxième sexe, 1949) chiarisce con fermezza: «è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna».
Nel testo di Turozzi (che non è un saggio, secondo lei!), ampi stralci antologici illustrano e danno ragione del percorso che vuole mostrare. Risulta piacevole perdersi nella scelta dei brani e accogliere lo stimolo a ripescare titoli di culto e autrici come Simone Weil (1909 -1943), Hannah Arendt (1906 - 1975), Betty Friedan (1921 - 2006), per rituffarsi nei concetti di nascita, relazione, differenza, mistica della femminilità. E poi riscoprire il Manifesto di Rivolta Femminile, del 1960, di Carla Lonzi (1931 - 1982), che promosse nel nostro Paese, mutuandola dagli Stati Uniti, la pratica dell’autocoscienza. È il caso di dirlo, che belli quegli anni, con la nascita di collettivi femministi a Roma, Milano e ovunque; si parlava di oscuramento del soggetto maschile e si faceva strada il concetto di differenza, imprescindibile condizione dell’identità umana. 
Letterate e filosofe affollano le pagine di Femminile Esorbitante, Julia Kristeva (1941), Virginia Woolf (1882 - 1941), Sylvia Plath (1932 - 1963),  e molte altre, impossibile ricordarle tutte senza scadere nell'elencazione che sminuirebbe la loro misura e il posto che si sono conquistate nella costruzione della consapevolezza delle donne. Questo testo ricorda, annota, chiosa con apparente leggerezza il loro dibattito fecondo di prospettive e poi culla un sogno: la scrittura come canto e consolazione, monumento all’urlo del silenzio.

Femmibile esorbitante, Chiara Turozzi, L'Iguana Editrice, 2012.

lunedì 10 agosto 2015

La bastarda degli Sforza

Una ragazza di nobile casato, Caterina, ha avuto accesso all'istruzione, non scontata per una donna nel Quattrocento, ha ricevuto un addestramento militare come i suoi fratelli ed è la pupilla di suo padre, il temibile Galeazzo Sforza. E allora perché viene immolata sull'altare della ragione di stato, in spregio agli affetti più cari e persino al buonsenso?
Carla Maria Russo, autrice di La Bastarda degli Sforza, rappresenta, anche in quest'opera, come nella precedente, La sposa normanna, una donna del passato che ha dato prova di grande coraggio sfidando le leggi e le convenzioni del suo tempo.
La ricostruzione storica è puntuale e sostenuta da una ricerca accurata sulle fonti, completata da un piglio narrativo moderno che interviene su sentimenti e  motivazioni, rendendo la lettura scorrevole e avvincente.
Caterina Sforza è ancora una bambina che gioca con le armi sotto gli occhi compiaciuti di suo padre quando si abbatte su di lei la scure della tragedia. Nata da un'unione irregolare e cresciuta da una matrigna affettuosa, è benvoluta da tutti, nella casa-fortezza degli Sforza, a Milano, eppure le viene imposto di pagare un prezzo elevatissimo, quasi dovesse compensare i benefici ricevuti.
Tutto  e solo per salvaguardare il destino di potere della famiglia. 
Ci vuole una forza di carattere non comune per sopravvivere e Caterina ne possiede tutte le caratteristiche, infatti  si adegua alla sorte, mentre si infrangono le sue certezze infantili e il suo sguardo sul mondo, affronta il dolore e riesce a ritagliarsi un'autonomia di giudizio e di azione. In seguito, sarà ancora lei e solo lei a salvare l'onore e il patrimonio familiare, grazie alla sua lucida capacità di analisi e alla prontezza di agire.
E poi il respiro rimane sospeso perché  l'autrice ci costringe a una calcolata sofferenza in attesa del prossimo romanzo che sveli la conclusione degli avvenimenti! 
Oltre al piacere di scoperta della trama, Carla Maria Russo  ci induce a riflettere  su una donna che esprime valori forti, ancora largamente condivisibili, poiché ogni sua scelta, in un'epoca tanto lontana e avversa alle donne, costituisce un esempio simbolico e paradigmatico per tutte noi, ancora oggi.

La bastarda degli Sforza, Carla Maria Russo, Piemme, 2015.

Una più ampia recensione è pubblicata su
Leggere Donna n°169/2015