Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

mercoledì 31 dicembre 2014

Cattivissimo Natale

Chi ha detto che a Natale siamo tutti più buoni?
Sicuramente non Manuela Zucchi che in Cattivissimo Natale propone un catalogo di riscontrabili situazioni poco o nulla affini al buonismo in salsa Happy Christmas.
Racconti inconsueti, anche spiazzanti per la controllata dose di crudeltà, con un andamento narrativo orchestrato da accorgimenti che rendono assai gradevole la lettura: una lingua viva, senza virtuosismi, ma non banale.
Si possono gustare a caso, ma io suggerisco di cominciare da Acqua e, se si sopravvive allo scoramento e ai "Babbi cattivi", di passare subito a Condominio di fine anno, una situazione che mi ha ricordato, per alcuni aspetti, A long way down di Nick Hornby, ma più articolata perché i buoni sono i cattivi e (forse) viceversa.





Con questa stringata segnalazione arrivo, sul filo di lana, agli auguri di fine anno e spero tocchino direttamente il cuore delle persone che mi hanno seguita fino a qui, nel comune interesse per la lettura.
Non faccio più promesse per l'anno che verrà perché non ho onorato quella dell'anno precedente e me ne vergogno abbastanza!
Però ho dei sogni e spero che qualcuno o qualcuna di voi vorrà condividerli.

Buon anno a tutti da Lauradeilibri



Cattivissimo Natale, Manuela Zucchi, illustraz. di Hanna Suni, L'Iguana Editrice, 2014.

lunedì 1 dicembre 2014

Malapolvere

Monumento e monito, per non dimenticare le singole sofferenze e per chi, lontano dai luoghi del disastro e non toccato dal problema, ne ha una percezione "blanda e distorta".
Anche l'autrice, Silvana Mossano, è stata sfiorata dal "sospetto", l'orribile interrogativo che tutti si pongono, a Casale Monferrato, quando compare la "tosse che non va via" o il "leggero versamento pleurico", ma anche il "persistente mal di schiena" e le "febbricciattole ostinate".
Sono campanelli d'allarme che destabilizzano perché troppo simili alle battute di un copione rappresentato migliaia di volte. Segue la diagnosi: mesotelioma e la prognosi, dai quattro ai sei mesi di vita.
Nel capitolo "Donne nella polvere", Mossano trascrive il racconto di quanti hanno lavorato all'Eternit, o vissuto con chi era dipendente, o anche del tutto estraneo/a alla fabbrica, tutte persone accomunate dalla contaminazione della puvri, la polvere uncinante gli ignari alveoli polmonari, dove si installa, silente per anni,  fino alla deflagrazione.
Una storia lunga un secolo, quella dell'Eternit, iniziata nel 1906 dall'ingegner Adolfo Mazza che acquista la licenza di produzione, in Italia, dei manufatti in cemento e amianto e avvia l'attività a Casale Monferrato, già allora importante sede di cementifici. Nel 1952 la famiglia Mazza cede parte delle quote azionarie al gruppo belga CPE, parte al gruppo francese SAFE e parte allo svizzero SEG. I belgi diventano gli azionisti di maggioranza ma nel 1972, quando gli eredi Mazza vendono la quota societaria residuale agli svizzeri Schmidheiny, questi assumono il controllo del gruppo.
Qualcosa cominciò a cambiare nell'azienda, venne infatti istituito un organo di controllo, il TAS (Tutela Ambiente Sicurezza) ma la puvri rimase tale, dentro e fuori lo stabilimento. Anzi, affermano i sopravvissuti, scarseggiavano persino le mascherine e agli operai non rimaneva che bùtà al fasulet (mettere il fazzoletto), come negli anni Cinquanta e ancora prima; inoltre, chi si lamentava, veniva confinato nei reparti peggiori perché le rivendicazioni sindacali erano da soffocare e silenziare.
La consapevolezza del pericolo per la salute della gente era ormai diffusa ma prevalevano, da parte di decisori e proprietari, l'omertà e il calcolo economico.
Lo stabilimento venne chiuso nel 1986, in seguito a istanza di fallimento e nel 1992  fu approvata la Legge 257 di messa al bando del prodotto su tutto il territorio nazionale. Oltre ai problemi di salute, la cittadinanza era di fronte all'emergenza occupazionale: alla malattia si sommava l' indigenza.
Dopo un lungo iter giudiziario, le responsabilità della tragedia sembravano attestate dalla sentenza del Tribunale d'Appello di Torino, nel 2013, ma sono state ribaltate da quella recente della Corte di Cassazione di Roma.
Le vittime non hanno più voce e l'appello che chiude il libro di Mossano suona simbolicamente sempre più triste:
Signori dell'amianto, ascoltate...Noi che l'amianto ci ha marchiato la vita vogliamo credere che non vi tirerete indietro...
Malapolvere, Silvana Mossano, Sonda, 2013.



lunedì 24 novembre 2014

Il fazzoletto di Margherita


La bicicletta arranca sul ponte leggermente in salita, mentre la lana della sciarpa pizzica la faccia prima di proteggerla e la nebbia è talmente densa  che sembra di attraversare una nuvola.
Margherita sa che il tratto di strada più difficile è proprio questo,  con la fatica di pedalare nel freddo, vedendo poco o nulla, tenendo saldo il manubrio  per non  perdersi, ma basterà arrivare alla fine del ponte e poi, lungo il Po,  le sagome alte degli alberi segneranno la strada fino al crocevia, quindi a destra, ancora una breve salita e infine la fabbrica, grigia come la nebbia.
Nebbia, fatica, freddo non sono nei  suoi pensieri: stanno per tornare a casa  i ragazzi per le vacanze di Natale e  lei vuole che tutto sia pronto per accoglierli.  Solo pensieri  lieti le si affollano in mente, tanto ha sofferto la loro mancanza.
Pedala Margherita, pedala sennò arrivi in ritardo.
Ieri si è fatta aiutare dal Vasio a liberare una cameretta e oggi viene un lattoniere per realizzare un bagno, così i ragazzi non saranno più costretti ad andare fuori, sul balcone; abituati come sono, in collegio, non accettano le scomodità della casa come un fatto naturale, come per lei, che tra quelle camere è nata ed è già contenta di averle conservate, nonostante la guerra. Allora, ecco la decisione di usare tutti i risparmi di un anno per questo cambiamento, cercherà poi di far bastare la provvista di legna e carbone coke per tutto l’inverno, senza neanche immaginare altre spese.
L’ultima volta che i ragazzi sono stati con lei, ha visto nell’espressione di Camilla un moto di insofferenza, per le condizioni della casa di ringhiera, una reazione ancora più dolorosa perché si celava dietro uno sguardo gentile, quasi pietoso, e Margherita ne aveva sofferto. Eppure, per aprire  loro una strada diversa, bisogna correre il rischio di perderli, i ragazzi, aumentando la distanza tra noi e loro, accettando persino di essere giudicati ignoranti e rozzi, per quanto sia  doloroso.
Ma non è questo che importa, pensa Margherita. La cosa più bella, che scalda il cuore, è ritrovarsi insieme, la mattina di Natale, fingere sorpresa nello scoprire le calze, appese al letto,  ripiene di mandarini e fichi secchi… Che festa!
L’ultima pedalata, scende dalla bici e la mette sulla rastrelliera, sotto al cartello “DONNE”.
-          Il Cicotu sta male, è all’ospedale, e la tua tosse come va, Margherita?
-          Mi fa compagnia, sempre uguale e tu, Iole, hai portato almeno un fazzoletto? Speriamo che diano qualche giorno di mutua al Cicotu.
-          Ma  figurati, proprio quelle belle teste dell'amministrazione! Con tutti quelli  che aspettano un posto, qui, sai com’è, la mutua è l'ultimo pensiero, conta solo la produzione. E finiscila con la storia del fazzoletto – aggiunge ridendo - cosa vuoi che facciano i nostri fazzoletti, lì dentro, o i nostri guanti di lana, ci vorrebbe… uno scudo, contro quella polvere! –  conclude Iole prendendo la sua amica sottobraccio e leste   si avviano all’interno del cortile, dove si apre la guardiola d’ingresso allo stabilimento e agli uffici.
Non sono ancora arrivate che esce il guardiano, uno del loro quartiere, con cui Margherita ha frequentato la scuola elementare; tornato dalla guerra senza un braccio, ha subito ottenuto un posto nell’azienda. Non vuole essere cattivo con quelle due donne, Margherita poi, la conosce da sempre, ma deve controllare gli ingressi.
-          Avete cinque minuti di ritardo, dovete recuperarli. – sottolinea puntigliosamente.
-          Sì, sì, li recuperiamo, stai tranquillo, non ci hanno mai ridotto la paga, a noi, ma almeno tu stai al caldo, dai, vai dentro. – aggiunge  Margherita con un sorriso, mentre si avviano al loro capannone.
Come altre donne, anche loro sono addette alla produzione delle lastre ondulate, è un prodotto nuovo che viene  usato nei cantieri. E  di cantieri ce ne sono dappertutto, ogni giorno ne aprono uno, in città e fuori,  c’è un Paese da ricostruire, la guerra è finita da cinque anni ma la vera ricostruzione comincia solo ora.
Servono materiali e risorse umane, perciò vanno bene anche le donne, come in tempo di guerra.
Il materiale che produce l’azienda è molto richiesto per le sue caratteristiche di duttilità,  economicità e durata;  permette di abbreviare i tempi di costruzione, è facilmente trasportabile, ha un gradevole colore azzurrino.
Sembra utile ed innocuo.
La fabbrica lavora a pieno ritmo, aumenta le linee di produzione ed i turni degli operai per soddisfare la domanda crescente del mercato, offre occupazione e servizi alla cittadinanza  e la città la coccola, questa sua fabbrica, se la tiene stretta, è sinonimo di modernità e benessere. Ci sono le colonie estive  per i ragazzi e il gioco delle bocce per i pensionati, i figli  desiderano prendere il posto dei padri che vanno in pensione, perché garantisce  un impiego sicuro.  Margherita stessa  non sa spiegarsi la grande fortuna di avere un salario assicurato e, per questo motivo, non manca di ringraziare il Signore, ad ogni prima messa domenicale nella Parrocchia di S. Ilario.
Sembra ci siano  problemi di salute, qualcosa alla pleura, ma chi può dire sia proprio la fabbrica?
-          Dai che cominciamo, mettiti i guanti Iole.
-          Sì, e tu il tuo benedetto fazzoletto!
Iole è triste, il suo Toni è a militare, non le scrive neanche  e lei ha paura di perderlo, così lavora distrattamente. Margherita la sorveglia da lontano, con apprensione, perché non è abbastanza attenta e ci vuole ritmo per prendere le lastre e accatastarle ad una certa altezza. Ma non si può parlare perché anche qui c’è nebbia, più fitta e cattiva di quella del ponte,  fatta di polvere che entra nella bocca e negli occhi, punge e brucia.
Margherita si annoda un fazzoletto sul viso, lasciando scoperti solo gli occhi e comincia a lavorare,  come le altre donne, al suono metallico del campanello d’ inizio turno.
Fuori, la città sta ancora dormendo nella nebbia.
A un certo punto, Iole non è abbastanza veloce nel prendere la lastra e depositarla, con una leggera torsione, sul mucchio predisposto. Margherita la vede dalla sua linea, lancia un avvertimento, Iole la guarda distrattamente, persa nei suoi pensieri, la lastra arriva puntuale, senza guida, sul suo fianco. Si sente  l’urlo di dolore della ragazza nella polverina grigioazzurra dell’aria.
-          Fermate la linea, fermate la linea – Margherita urla e, dopo una manciata di secondi che sembrano ore, il suono ripetuto del campanello  dà l’avviso di fermata.
Le donne del settore si precipitano a soccorrere la ragazza a terra,  svenuta e colpita al fianco, c’è sangue sul letto di polvere del pavimento.
-          Dovete stare più attente, ma dove avete la testa, voi? Donne!
Il capetto di turno, uno di quelli sempre pronti a schierarsi con l’azienda, si avventa su Margherita, allontanandola dal luogo dell’incidente.
Margherita si offre per accompagnarla all’ospedale, Iole non ha più nessuno in famiglia, sua madre è morta dopo la guerra, il fratello finito in Albania, il padre…
-          Non fare il disgraziato, lasciami stare con lei, deve avere qualcuno quando si sveglia, altrimenti va giù di morale.
-          Vai a lavorare, tu, che adesso riattacchiamo la linea, pensa agli affari tuoi, è un normale infortunio, non è mica morto nessuno.  Anche voi, cosa state qui a guardare? Riprendete i vostri posti!
Alza la voce il capetto, sa che può esercitare un suo piccolo potere su queste donne, soprattutto adesso che sono spaventate. Le allontana con la mano e  anche Margherita, tra loro.
Dopo l’arrivo dell’ambulanza, la linea riprende il suo rumore e il lavoro continua .
Mentre si rialza il fazzoletto, già rigido e impregnato di polvere, i pensieri di Margherita vanno tutti alla povera Iole, vorrebbe raggiungerla alla fine del turno, ma no, non sarà possibile. La zia Rusin, inferma com’è, se non la vede arrivare subito a casa, pensa al peggio, poi c’è il lattoniere da seguire,  dovrà aspettare  fino a sera, anche se farà freddo, per arrivare all’Ospedale S. Spirito e portare qualche conforto all’amica.
Il tempo scorre mentre le operaie addette alla produzione delle lastre ondulate si scambiano occhiate furtive e preoccupate, tra colpi di tosse, soffiate di naso, occhi che piangono.
Sirena, fine turno.
Anche la città sente la sirena e adegua i suoi ritmi ad essa. Al  familiare suono, nelle case si butta la pasta perché gli operai non tarderanno ad arrivare per la pausa pranzo, si regolano gli orologi, si scandisce la quotidianità.
Sul ponte, si crea  una fila interminabile di biciclette e anche Margherita è di nuovo sul ponte e la nebbia del mattino si è dileguata, sostituita da un venticello inaspettato, per la stagione. Un vento che ha liberato il cielo, e ora, sul fiume, si vedono le dolci colline intorno la città, e la vista arriva lontano, fino alle montagne innevate, bellissime.
Ma il vento trasporta anche la polvere della fabbrica  e così questa si deposita sui davanzali, sui tetti, entra dalle finestre aperte per arieggiare le camere e, molto democraticamente, si distribuisce sulle case della periferia e del centro storico, contaminando  persone e ambienti di ogni ceto sociale.
La polvere è sempre grigia, ma questa, come dicono tutti, in città, è  cattiva.
E’ composta da fibre milletrecento volte più fini di un capello, furtiva si inserisce  negli alveoli polmonari, si annida e staziona lì anche per decenni, prima di manifestarsi, inesorabilmente.
Dovranno ancora passare quasi quarant’anni perché lo stabilimento venga chiuso e il materiale prodotto sia riconosciuto altamente nocivo.
Oggi,  a più di trent’anni dalla chiusura dello stabilimento e oltre due decenni dalla promulgazione della legge che vieta l’impiego del prodotto, i cittadini di questo angolo di Paese aspettano ancora una quieta parola conclusiva di giustizia.
Non lo sai tu, Margherita, e non lo sa la città intera. 
Questa è ancora un’altra stagione e tanti operai, operaie e persone che non hanno mai avuto nulla in comune con la fabbrica ci lasceranno, prima che  il problema  arrivi ad interessare i politici, l’opinione pubblica, i decisori a qualsivoglia livello.
Pedala, Margherita, la tua giornata è ancora lunga. Devi arrivare a casa, tranquillizzare la zia Rusin, riordinare, poi correre in ospedale dalla  Iole, se non vai tu, chi vuoi che vada, sola com’è.
Ah, questa tosse, che fastidio, come brucia la gola.
Pedala, Margherita, pedala, non badare alla tosse, alla polvere, alla nebbia, domani arriveranno i ragazzi!

Dedicato a Margherita, Carletto, Franco, Vasio, Iole, Gino, Guido, Libero, e alle migliaia di vittime dell'amianto, di Casale Monferrato e del mondo, che non hanno ancora avuto giustizia.




mercoledì 19 novembre 2014

Fantasia e divertimento

da farci letteralmente un tuffo dentro, in We are  family di Fabio Bartolomei, con un pizzico di tristezza, che non si vorrebbe, ma così è la vita.
Dopo La banda degli invisibili, un altro libro che ci parla di noi, cittadini di un Paese con problemi irrisolti da anni. Qui il racconto inizia nel 1971 e arriva ai giorni nostri, portandoci in una casa in mezzo al nulla, anche se alle porte di Roma, persino in balia della tettonica a placche, spostata ad ogni acquazzone; c'è un genio che vuole, anzi deve, salvare il mondo e una famiglia  anticonvenzionale che  si tiene unita tra mille difficoltà economiche e tanta, tanta musica con uno speciale omaggio a Elvis.
Ecco, in sintesi, l'indice schematico della possibile trama di questo romanzo, ma è l'intreccio a far scaturire la risata o strappare la lacrima, perché tutto ruota intorno ad una diversità umana, insieme sognante e pragmatica, che assegna valori e ruoli completamente differenti.
Perciò, via ad uno Stato autonomo, anzi, ad un Principato, con una nuova moneta e una nuova Costituzione.
L'unica cosa che rimane sempre e conta è volersi bene.

We are family, Fabio Bartolomei, Edizioni e/o, 2013.

sabato 15 novembre 2014

Poesia come progetto etico


Compleanno speciale per L'Iguana Editrice, di Verona,  festeggiato con la riedizione di Amami per rendermi forte di Aino Suhola, una raccolta poetica pubblicata in Finlandia nel 1991, che ha avuto quattordici successive ristampe.
Nel nostro Paese, questo libro è potuto fiorire nel 2013, grazie al progetto fortemente voluto da Hanna Suni, Chiara Turozzi e Viviana Scarinci, rispettivamente traduttrice, editrice e curatrice, che hanno orchestrato un lavoro a più voci senza che nessuna prendesse il sopravvento.
Ad Hanna Suni il merito di aver identificato per prima la forza dell'opera e averne difeso l'esattezza della lingua negoziando, con l'autrice, i significati sottesi delle parole per tradurre senza tradire il senso vero del testo.
Amami per rendermi forte.
Non chiedere cosa ti do io,
non porre condizioni,
non commerciare.
Chiara Turozzi ha colto, nel linguaggio esplosivo di Aino Suhola, la possibilità di far emergere contesti problematici, come il bullismo, l'alcolismo, il disagio che ancora non sembravano avere una rilevanza simbolica sulla scena poetica.
I feriti della vita
non osano
esistere
se non
timidamente.*
E ancora:
Trionfano 
i prepotenti
perché saranno loro i premiati.
Non c'è posto
per i fragili o gli emarginati
nell'ostello del successo. *
Tutto il libro è per Turozzi "uno slancio verso l'altro", evidente anche nell'espressione della poeta quando, intervistata da Viviana Scarinci, afferma: "La mancanca di amore incondizionato è diventata la malattia nazionale più acuta".
Il testo respira nella sua dinamica di prosa e poesia, secondo Scarinci,  perché questo è il suo segreto di durata nel tempo, rivelando, dell'autrice, non solo la ricercatezza linguistica, ma soprattutto la volontà di raggiungere l'altro con l'impellenza dei temi trattati.
E sera
 dopo sera
mi sfondo di alcool,
perchè ho paura
di ubriacarmi di vita.
E poi:
Bisogna andare da quelli
che hanno le corazze più sottili,
i visi
più sbattuti.
Bisogna guardarli
e dire:
a me importa.
In Finlandia, il libro non è mutato in nulla, nei suoi ventitré anni di esistenza, se non nel prezzo di vendita e le presentazioni sono servite per raccogliere fondi per un'organizzazione a favore dei bambini disagiati.
Questa poesia si fa strumento etico.


Amami per rendermi forte (Rakasta minut vahvaksi), Aino Suhola, traduz. di Hanna Suni, a cura di Viviana Scarinci, L'Iguana Editrice, 2013.
* in corsivo, nel testo
La scelta delle poesie è di Ldl



lunedì 10 novembre 2014

Dora Bruder



Cognome italiano, ancorché stravolto dall'accento tonico francese, Patrick Modiano è stato insignito quest'anno dall'Accademia Svedese del premio più ambito, con la motivazione:
"Per l'arte della memoria con la quale ha evocato i destini più inesplicabili e scoperto
il mondo della vita nel tempo dell'occupazione".
L'assegnazione del Nobel ha agito, come sempre, su almeno due versanti: rendendo reperibili i suoi testi, dispersi fra molte edizioni (Rusconi, Frassinelli, Feltrinelli, Guanda, Einaudi) e avvicinando alla sua lettura quanti non lo conoscevano.
Alcuni suoi temi ricorrenti, quali il viaggio di scoperta sulle tracce di una donna e la memoria della giovinezza alla prova dell'età adulta, sono entrambi presenti in Dora Bruder del 1997.
Anche qui, come in Bijou (Einaudi) e Viaggio di nozze (Frassinelli), c'è un percorso su indizi mai scontati, tra ricerca autentica e finzione. E noi a chiederci, ma sarà vero?
Il racconto di Modiano, in Dora Bruder, è un tragitto attraverso una malinconica toponomastica, segnata dalle priorità politiche e amministrative dei tempi che si succedono, e polverosi uffici anagrafici, con frequenti salti temporali e richiami biografici. 
Tutto parte  da un'inserzione su Paris-Soir del 31 dicembre 1941, in cui si denuncia la scomparsa di una ragazza di 15 anni. L'accorato appello dei genitori reca un indirizzo familiare all'autore perché vi si recava, con la madre, al mercatino delle pulci. Si scatenano i ricordi di altri luoghi e persone, del padre, figura ambigua di collaborazionista e di scrittori che ha amato, i cui passi potrebbero aver incrociato quelli di Dora.
Una storia dell'assenza o, meglio, di una presenza annullata.
Dora è una ragazzina che fugge dal collegio quando Parigi vara le misure di riconoscimento, spoliazione e deportazione degli ebrei. E' un pensiero disturbante per chi legge, ma a Modiano va anche il merito di ricordarci che tutto ciò fu possibile per la connivenza dei francesi non ebrei.
Tornando a Dora, fa perdere le sue tracce, riappare dopo alcuni mesi per essere rinchiusa in un istituto correzionale per minori e poi finire ad Auschwitz, come i suoi genitori.
La forza del libro non è nella sua trama e svelarla non ne diminuisce l'incanto. E' piuttosto una lotta personale contro l'oblio della cancellazione storica, contro l'ineluttabilità della dimenticanza, a futura memoria.

Dora Bruder, Patrick Modiano, traduz. di Francesco Bruno, Guanda, 2014 (prima stampa, 1998).

domenica 2 novembre 2014

sconosciuta Dorothy

Il suo nome non è noto nel nostro Paese perché non è mai stata tradotta in italiano, eppure Dorothy Whipple ha goduto di grande popolarità in Gran Bretagna, nel periodo tra le due guerre, quando i suoi libri, tomi da quattrocento-seicento pagine e più, erano venduti in migliaia di copie, come le opere dei coevi Graham Green e Evelyn Waugh.
Nasce a Blackburn nel 1893, in una famiglia benestante, compie i suoi studi presso istituti religiosi e si innamora di un giovane che rimane ucciso proprio all'inizio del primo conflitto; trova poi impiego come segretaria presso Henry Whipple, che infine sposa, nonostante sia di vent'anni più grande di lei. I coniugi si trasferiscono a Nottingham e qui Dorothy intraprende la sua carriera letteraria scrivendo nove romanzi, oltre a racconti  e storie per l'infanzia,   che conoscono un successo immediato. Poi, l'oblio.

Nei suoi libri ha tratteggiato personaggi femminili in bilico tra modernità e tradizione, con un desiderio di autonomia che il ruolo di mogli, madri, figlie non consentiva ancora, nella prima metà del Novecento (in Italia, le donne non avevano neppure accesso al voto). Denunciava, in punta di penna, la violenza psicologica in famiglia e scriveva, in anticipo sui tempi, della crisi di coppia, ma senza una posizione critica di genere né rivendicazione pugnante di diritti o risentimento nei confronti degli uomini. Con un sottile humour e tocco leggero, seppure non superficiale, e una leggibilità che ha fatto storcere il naso ai critici, come se le opere di valore dovessero necessariamente essere noiose o di difficile lettura. Dorothy Whipple, al contrario, attrae con una prosa semplice e scorrevole dalla prima riga all'ultima pagina. Descrive la vita quotidiana e domestica, nei piccoli e grandi gesti di cura, le relazioni parentali, i rapporti con i vicini. Sono trame riassumibili in poche parole, senza intrecci complessi,  ma i personaggi sono scolpiti con un bisturi e seguiti nella loro evoluzione o tragica sorte. Senza schematismi, perché ognuno ha le sue ragioni e debolezze, responsabilità e sogni.
Sottovalutata dalla critica letteraria, ignorata dal movimento delle donne, semplicemente dimenticata fino al 1999, quando una piccola e raffinata casa editrice inglese, Persephone Books, ristampa l'ultimo dei suoi romanzi, Someone at a Distance (1953). Di scena è la distruzione di un quadretto familiare, apparentemente perfetto, provocata dalla crisi di mezza età del marito, innamorato di una giovane donna; il tutto con parole di sorprendente attualità per sentimenti ed emozioni.
The Priory (1939) potrebbe aver influenzato lo sceneggiatore della pluripremiata serie della BBC, Downton Abbey, anche se diversa è l'epoca della storia e la classe sociale dei personaggi, seppure ambientato in una storica mansion.
In They Were Sisters (1943) tre sorelle dal diverso carattere sposano uomini altrettanto differenti e le loro vite seguono percorsi alquanto distanti quanto a scelte e sorte, con un  finale ad effetto ma realistico. Ne è stato tratto un film (Arthur Crabtree, UK, 1945), dominato dalla recitazione di James Mason e una trama che si discosta dal libro e non ne possiede la profondità psicologica.
Greenbanks (1932) è una storia in cui campeggia  una nonna speciale, energica e affettuosa, vero collante della famiglia, con un ruolo protettivo e di modello per la nipote. 
Appena ripubblicato, a ottobre, Because of the Lockwoods (1949), in cui due famiglie, una benestante e l'altra meno, si confrontano e influenzano, fino a intrecciare i loro destini, con tutto il corollario di conformismo e pregiudizi. Ne consegue una lettura molto intrigante e attuale dell'istituzione familiare.
I titoli citati sono disponibili nei tipi della Persephone Books, insieme agli altri: High Wages (1932), The Closed Door and Other Stories (racconti pubblicati da DW con altro titolo nel 1961), They Knew Mr. Knight (1934).


Un articolo su vita e opere di Dorothy Whipple è pubblicato su
Leggere Donna n°163/2014


lunedì 27 ottobre 2014

Figlie ingrate?

Diventiamo madri, anche nostro malgrado,  se responsabili di altri e a questi vogliamo bene, in forza di una maternità degli affetti che si contrappone, o sovrappone, a quella biologica, uterina.
Molte, fra noi, hanno vissuto pienamente questa esperienza.
Quando l'altra da noi, di cui prenderci cura,  è la nostra stessa madre, il rapporto è più complesso, intessuto di ricordi, bloccato dalle frustrazioni e dai rimpianti.
Ne La passione di una figlia ingrata, Saveria Chemotti assegna a Gilda, l'io narrante, il compito di ri-tessere una relazione filiale che la distanza delle scelte di vita ha sfilacciato, nel corso del tempo.
La madre è ospite in una casa di cura, organizzata secondo i precetti di "un nuovo umanesimo nell'assistenza all'anziano", e ripropone "le caratteristiche di un caldo ambiente domestico". Tuttavia rimane, per parenti e visitatori occasionali, "un girone infernale": gli ospiti, seduti sulle sedie a rotelle, hanno lo sguardo perso, sono "vecchi sopraffatti da una vita senza più desideri, senza alcun contatto con la realtà. Vuoti a rendere".
Ogni giorno, d'estate, vincendo lo sgomento, Gilda si reca a trovare la madre, la accompagna al parco, spingendo la carrozzella e facendosi largo tra quanti salutano, le tendono la mano, aspettano un sorriso. E poi, cura il suo aspetto e le parla amorevolmente, ricevendo, in cambio, solo rimbrotti senza senso, rifiuti ostinati, urla. Intanto, dipana il filo dei suoi pensieri nella matassa aggrovigliata delle vicende parentali e sue, di figlia che ha scelto di andare altrove per far avverare i suoi sogni. Nella casa paterna, tra arredi e oggetti di epoche e appartenenze diverse, permette alla sua memoria di seguire un percorso doloroso di consapevolezza.
La nonna Linda le ha colorato l' infanzia di episodi lieti e l'ha protetta, con sano pragmatismo, dal prossimo e da sua madre, apparentemente persa nell'amore esclusivo per il marito.
Ma in una scatola rossa, riposta in un armadio, scopre i frammenti autografi della madre, appunti sinceri di vita quotidiana in cui si rivela alla figlia con l'immagine di una donna "dalla solarità mite" e dal piglio arguto, per nulla anaffettiva, semplicemente tesa alle priorità che si era data, per poter sopravvivere al controllo sociale, nutrito di pregiudizi sul suo conto.
Infine, Gilda coglie un altro valore nell'atteggiamento materno e nell'opposizione paterna, leggendoli come spazio neutro di crescita in cui ha potuto sviluppare la sua alterità e realizzarsi come persona.
Forse, siamo tutte figlie ingrate, almeno fino a quando non riusciamo ad arrivare, nella mente e nel cuore, alla restituzione piena del tanto che abbiamo ricevuto.

La passione di una figlia ingrata, Saveria Chemotti, L'Iguana editrice, 2014.

lunedì 13 ottobre 2014

Margaret Drabble



E' una letterata più che una narratrice, i suoi testi sono intessuti di riferimenti simbolici e citazioni esplicite della grande tradizione letteraria inglese, da Austen, a Bronte, a Woolf e la lettura che ne consegue è un'esperienza affascinante ma complessa da descrivere.

Margaret Drabble nasce nel 1939 e compie studi classici a Cambridge. Sorella minore della più famosa Antonia Byatt e a lei legata, o divisa,  da burrascosi trascorsi, ha scritto del rapporto tra amiche, sorelle e, più in generale,  della crisi della famiglia ma la sua attenzione al sociale e al dettaglio quotidiano non le ha impedito di prodursi in opere di scrittura sperimentale e distinguersi nell'ambito della critica letteraria e della biografia.
Sebbene molto apprezzata nel suo Paese, resta solo parzialmente conosciuta in Italia fino al 1998, quando Luciana Tufani Editrice pubblica  La via radiosa (The Radiant Way, 1987) e nel 2000, La cascata (The Waterfall, 1969) con le raffinate traduzioni di Giorgia Sensi che rispettano l'armonia del testo originale e lo restituiscono intatto e vero.

La via radiosa, primo di una trilogia (Natural Curiosity, 1989  e The Gates of Ivory, 1991) è, per alcuni aspetti, un libro datato per le situazioni che presenta, "figlie" dell'approccio libertario che seguì gli anni Settanta e perciò estranee alla realtà delle donne nate dopo il grande spartiacque delle lotte femministe. Tuttavia si pone come una lettura feconda di stimoli, proprio in questo momento in cui si mette addirittura in forse la validità del Femminismo. Nel libro, Liz, Ester e Alix, amiche dai tempi dell'università, nonostante i diversi percorsi di vita, si ritrovano in svariate occasioni; nei loro discorsi, frequenti richiami ai fermenti del Movimento nascente, echi di storia familiare, in una cornice di indagine sociologica non pedante che si schiude, almeno per loro, ad un futuro altrettanto "radioso".


La cascata sembra rivolgersi ad un pubblico anagraficamente trasversale, per i temi che tratta: tradimento, adulterio e desiderio femminile indagato nel conflitto tra maternità e sessualità. I palati più esigenti si gioveranno delle metafore e dei simbolismi che percorrono tutto  il romanzo o, più semplicemente, scopriranno punti di vista diversi nell'alternarsi del racconto in prima e terza persona. Per ammissione dell'autrice, si tratta di un'opera di "narrativa poetica sperimentale" però la definizione non deve inibire perché la lettura, come si sa, è anche una "riscrittura" del testo (Umberto Eco docet) e ognuno vi rintraccia quello che preferisce o che serve al momento.

Come già Doris Lessing, Drable non ha mai ufficialmente aderito al Movimento delle Donne, ma nei suoi testi emerge l'obiettivo di autorealizzazione delle protagoniste, perseguito, a mio parere,  con una buona dose di sofferenza ne La cascata e con divertita ironia ne La via radiosa.
Entrambi romanzi non lievi, eppure imperdibili.

La via radiosa, Margaret Drabble (The Radiant Way), traduz. di Giorgia Sensi,  Luciana Tufani Editrice, 1998.
La cascata, Margaret Drabble (The Waterfall), traduz. di Giorgia Sensi, Luciana Tufani Editrice, 2000.



giovedì 9 ottobre 2014

udite, udite!


Dopo quasi due anni di dignitoso understatement, Lauradeilibri si è decisa:
1. a cambiare il look (qualcuno se n' è accorto? Gradito un cenno!)
2. a debuttare su Facebook

1. Il "cambio di vestitino"è un omaggio alla matita talentuosa di Quentin Blake, che ha disegnato il ritratto di Matilde, una bambina lettrice formidabile, nata dalla prodigiosa fantasia di Roald Dahl.






Se mi spertico in lodi è perché sto parlando di due giganti della letteratura per l'infanzia che, nel nostro Paese, non sono apprezzati come meriterebbero.
Il loro sodalizio artistico ha creato personaggi indimenticabili, colti da Blake nei loro aspetti qualificanti, pensiamo alla Spezzindue in Matilde, terribile direttrice dalla forza sovrumana.
Roald Dahl (1916 - 1990) era tenacemente dalla parte dei bambini e delle bambine, contro i soprusi degli adulti. Durante la sua infanzia, nel mondo britannico e non solo, nelle scuole erano in voga le bacchettate sulle dita, pedagogicamente giustificate come altre pene corporali. Diventato scrittore, è andato oltre la semplice denuncia perché ha saputo contaminare la realtà con i territori del fantastico, innestandosi nell'immaginario dei bambini, là dove risiedono le loro paure e suggerire delle scappatoie di fulminante umorismo.
Ha lasciato un'eredità di storie che continua ad affascinare e, per chi si sentisse tentato, e non avesse timore di sminuirsi, leggendo storie per ragazzi/e, consiglio questi titoli, tutti editi da Salani:
Matilde, Le Streghe, Gli SporcelliLa fabbrica di cioccolatoIl GGG.Grande Gigante Gentile...
Il divertimento è assicurato.

2. Non dico lo sbarco sulla luna, ma quasi. Il debutto su Facebook, con annessi e connessi, è stato pensato, ripensato, rimosso, ripescato e infine effettuato (e ri-effettuato!)
Così sia, o meglio, così fan tutti.
https://www.facebook.com/pages/Lauradeilibri/1394028444171138?fref=ts

lunedì 6 ottobre 2014

Curarsi con i libri

Un evviva per le autrici di questo manuale di medicina sui generis.
Infischiandosene delle raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, qui ci fanno trovare, sullo stesso piano, i dolori del corpo e quelli del cuore, le difficoltà pratiche che causano tormento e le grandi sfide della vita. Con la differenza che i rimedi taumaturgici non dovranno essere cercati in farmacia o in erboristeria e nemmeno presso qualche psicanalista, basterà recarsi in libreria, o in biblioteca o curiosare su qualche bancarella.
Elencati in ordine alfabetico, da Abbandono a Xenofobia, scoviamo la voce che ci interessa, sia essa Appendicite o Diarrea, Superlavoro o Superstizione, Mal d'Amore o Claustrofobia o qualunque altra. Accingiamoci a leggerne la diagnosi con il dovuto rispetto e sorbiamoci il balsamo suggerito: "un romanzo (o più d'uno) da leggere a intervalli regolari".
Provare per credere, non previsto rimborso.
Una prescrizione che manderà in sollucchero tutti i topi da biblioteca e i bibliomamiaci, ma anche i nostri vicini di casa che potrebbero, di conseguenza, giovarsi del grande silenzio proveniente dalla nostra magione.
Se, come accenna Fabio Stassi nella prefazione, abbiamo contratto da piccoli "la lettura", è da considerarsi "la più fortunata delle malattie croniche" e non ci resta che inocularci "dosi controllate" di letteratura.
Con una precauzione, bugiardino docet, ricordarsi di leggere per vivere e non vivere per leggere.
Concludendo, questo libro non si rivolge solo a lettori forti e a librai e bibliotecari, perché è consigliabile a tutti: accademici e fashionisti, workaholic e fannulloni, disoccupati, pensionati, studenti, artisti, politici, ... e, of course, medici.


Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno, Ella Berthoud, Susan Elderkin (The Novel Cure), trad. di Roberto Serrai, a cura di Fabio Stassi, Sellerio, 2013.

(per una volta, Lauradeilibri è stata scherzosa, ma l'opera presta il fianco... anche se è seriamente costruita e si guadagna un posto sui nostri coffee table)


domenica 5 ottobre 2014

Unusual London


Il cielo di Londra può riservare delle sorprese a chi è nato a Sud delle Alpi. Da queste parti, le cime più alte d'Europa trattengono le nubi e conferiscono un grigiore pressoché sconosciuto ai Londinesi, avvezzi ad una sensazione di infinito, di apertura e vastità che noi assaporiamo solo pochi giorni all'anno.
Simonetta Agnello Hornby, camminando a lungo sotto un cielo di questo tipo, accompagnata da un nume tutelare, Samuel Johnson, ci e si racconta ne La mia Londra. Il libro, per usare le sue parole, "non è una guida turistica, non è una biografia, non è un romanzo, non è un saggio letterario e nemmeno un testo sociologico, ma una dichiarazione d'amore a una grande città e ai suoi abitanti".
Sfoderando una lingua diversa da quella usata nei suoi romanzi (ne ho parlato nel post Donne che scrivono), più giornalistica e meno inficiata di siciliano, lascia affiorare qua e là il suo empatico tocco, ed è subito innamoramento per i luoghi e le persone che descrive. Da scordarsi le immagini folkloristiche veicolate dalle brochure, qui si parla di immigrazione, charity shops, vicini di casa, bancarelle, librerie, giardini, chiese, mendicanti, monarchia...
Non è una guida, è molto di più.

Di tutt'altro genere I segreti di Londra. Con la consueta scelta di parole, ricercata ma non barocca, Corrado Augias comincia con l'interrogarsi su come erano visti gli italiani dagli inglesi, in passato,  e non è un ritratto lusinghiero; prosegue poi con una galleria di personaggi noti, facendo incursioni nell'arte, nella storia e nella letteratura.
Ci conduce in una Londra affascinante e talvolta cupa,  in cui mistero e carisma dei personaggi che vi hanno vissuto e storie che affondano ragioni nel passato, concorrono a tratteggiare il quadro di una città unica, vibrante, tutta da scoprire.
Un'occhiata all'indice, quasi fosse un menù:
- Uno spettro nella notte
- Elementare, Watson!
- Le ceneri dell'Impero
- La dama con la lampada
- La principessa pop
... ...
Non è invitante?

La mia Londra, Simonetta Agnello Hornby, Giunti, 2014.
I segreti di Londra, Corrado Augias, Mondadori, 2003.

venerdì 22 agosto 2014

Anziani&Vecchi=Invisibili



In una Roma quanto mai lontana dai privilegi della Montecitorio SpA, Angelo, Ettore, Filippo e Osvaldo accarezzano l'idea di un gesto esemplare: un vero e proprio rapimento del Premier, quello per antonomasia, straconosciuto per le leggi ad personam.
Ad acchiappare chi legge, per così dire,  non è tanto la vicenda in sé, che appare subito piuttosto inverosimile, se non ridicola, quanto il processo di incubazione e pianificazione del progetto, con la ricerca degli strumenti e delle comparse, l'assegnazione dei ruoli e la tempistica delle azioni. Il tutto deciso tra le panchine dei parchi, il Centro per Anziani e le case, più o meno confortevoli, di questi "invisibili", ritenuti tali perché innocui, se non inutili. Trecento anni in quattro, vedovi o giovanottoni, con più di un acciacco a rallentarne la camminata e vincolarne le scelte quotidiane, compongono una banda formidabile che riserva delle sorprese.
Seppure tocchi argomenti delicati quali la solitudine e l'indigenza, Fabio Bartolomei usa una lingua efficace, in una prosa sciolta e non banale, regala  qualche sonora risata e tocca la corda della malinconia senza indugiarvi.
La banda degli invisibili, Fabio Bartolomei, edizioni e/o, 2012.


Invece un piano di tutt'altro tipo viene architettato da un "vecchiaccio" che ruba le biro e un uomo che sembra stia "trattenendo un sorriso". Nella strana coppia qualcosa va storto, nel senso del brusco arresto del soffio vitale, però il "piano" arriva a buon fine, senza che i destinatari del pensiero/dono ne siano consapevoli.
Il titolo Un calcio in bocca fa miracoli è allusivo e io non voglio svelare di più perché l'intreccio sia conosciuto e apprezzato come merita.
L'umorismo di Marco Presta basta a qualificare la lettura e rendere lieve persino il bilancio amaro di un'esistenza.
Un calcio in bocca fa miracoli, Marco Presta, Einaudi, 2011.

Sarà difficile recuperare questo titolo, Quartetto in autunno, perché apparentemente fuori catalogo. Eppure rappresenta una delle narrazioni più adeguate a rendere lo spaesamento delle persone al termine della loro esperienza lavorativa. Barbara Pym ( di cui ho parlato anche nel post Donne che scrivono), con la sua penna intinta nello speciale inchiostro dell'ironia, tratteggia quattro personaggi, colleghi d'ufficio, alla soglia del pensionamento. Le parole non dette, trattenute dal riserbo e dalle convenzioni, possono sembrare un vezzo molto datato, in questo primo decennio che ha definitivamente abolito le cosiddette buone maniere. L'autrice le presenta come un presidio alla propria integrità, un diaframma che rappresenta non tanto e non solo una corazza di difesa relazionale, quanto un modo di comunicare simbolico e rispettoso.
Letty e Marcia, Edwin e Norman non sono legati da una particolare amicizia, ciascuno difende la sua autonomia di pensiero e di vita, al punto che le loro scelte possono apparire sconsiderate o quantomeno eccentriche ma, con un inaspettato epilogo,  Barbara Pym ci dimostra che la realtà può spingersi più lontano delle prudenti fantasie.
Quartetto in autunno, (Quartet in Autumn, traduz. di Frida Ballini), Barbara Pym, La Tartaruga edizioni, 1992.

Considerando l'argomento, avrei potuto titolare questo post De senectute 2, giacché ho pubblicato un De senectute nel 2013, ma ho preferito sottolineare l'invisibilità dei vecchi, che  si preferisce chiamare anziani, con un termine asettico e distante.  Invisibili perché ignorati dalle leggi; invisibili perché vivono sovente  in modo miseramente precario, confinati nelle loro case da cui non possono entrare e uscire a causa di barriere architettoniche, affidati a badanti incompetenti che li lasciano ancora più soli; invisibili perché estranei allo shopping modaiolo; invisibili perché non più produttivi, quindi scomodi, salvo  non stiano ancora saldamente al potere.
Nei libri citati ho trovato un ritratto umano e palpitante della vecchiaia, assai diverso dall'immagine restituita dai media, quando se ne occupano: un onere pesante e fastidioso per la società e,  per i familiari,  un dovere di cura che sottrae il divertimento alla vita.


martedì 29 luglio 2014

colpa delle stelle

Ci sono libri che conoscono un successo strepitoso, spesso risultato da una studiata combinazione di marketing e passaparola. E' il caso di Colpa delle stelle che ha contribuito non poco ad avviare il genere della sick-literature o letteratura del dolore. La storia ruota attorno alle vicende di due adolescenti, affetti da gravi patologie, che si aggrappano alla vita. E' una lettura che può coinvolgere fino alle lacrime o lasciare del tutto indifferenti. La sottile discriminante è la stessa, invisibile, che separa i più o meno felici, immemori di un universo sofferente e quelli che il dolore lo vivono in prima o terza persona. Un altro modo per dirlo: se ci sei dentro, trovi consolazione "anche" in questo romanzo; se ne sei fuori, puoi criticarne la qualità della lingua/traduzione o lo stereotipato editing che lo fanno somigliare a tanti altri bestseller. In ogni caso,  il rispetto per il suo contenuto ne giustifica la lettura.
Colpa delle stelle, John Green (The Fault In Our Stars), traduz. di Giorgia Grilli, Rizzoli, 2012.


Una poetessa che ha cantato i sentimenti senza mai cadere nel sentimentalismo è Emily Dickinson. Lei ha saputo anche restituire alla morte il senso dell'esperienza ineluttabile, eppure umana, in certi casi persino desiderabile.
Che poi sia colpa delle stelle, della malasanità, della genetica o altro, non conta quasi nulla.



I stepped from Plank to Plank
A slow and cautious way
the Stars about my Head I felt
About my Feet the Sea.

I knew not but the next
Would be my final inch -
This gave me that precarious Gait
Some call Experience.
(875, 1864)
Silenzi, Emily Dickinson (a cura di Barbara Lanati), Feltrinelli, 1990, pag.136.


This is my letter to the World
That never wrote to Me -
The simple News that Nature told -
With tender Majesty.

Her Message is committed
To hands I cannot see -
For love of Her - Sweet - countrymen -
Judge tenderly - of Me.
(441, 1862)
Poesie, Emily Dickinson (a cura di Margherita Guidacci), BUR, 1993, pag. 182.

In loving memory of Courtney, dear girl.




martedì 13 maggio 2014

Bene in vista


Anche la XXVII edizione del Salone Internazionale del libro di Torino si è chiusa con una folla di visitatori e visitatrici superiore o inferiore alle aspettative, molte o troppe critiche e polemiche, una marea di autori e autrici e un cartellone di eventi da leccarsi i baffi, le dita e le mani, per tutti i palati.
Che altri snocciolino percentuali e azzardino valutazioni, meglio qui evitarle e non fare neppure nomi, per non dimenticarne qualcuno e alimentare l'eventuale narcisismo dei segnalati.
Giusto qualche cenno, tra il rebus e la caccia al tesoro perché, in queste occasioni, ci si imbatte in situazioni da godersi fino in fondo. 
Come le lunghe attese, in coda, agli eventi, se di sabato e domenica o lo scrittore, sempre un po' nevrotico, che non riesce proprio a limitarsi nell'intervento e, mentre presenta l'ospite straniero e famosissimo, ritaglia per sé un siparietto, tutto compiaciuto.
Quando poi l'autore o l'autrice, che finalmente si riesce a conoscere, o almeno vedere, si rivela diverso/a, magari addirittura antipatico/a, allora le facce, nella folla, volgono verso la mestizia. Ma pazienza, scrive così bene!
A questo appuntamento torinese, dal titolo Bene in vista, paese ospite La Città del Vaticano, c'erano quasi tutti: i giovani, i giovanissimi, gli studenti, i grandi vecchi, i noti, gli ignoti, finanche gli sconosciuti finalisti di Masterpiece, o la SOS Tata che spiegava come essere una buona madre ad un pubblico femminile bisognoso di conferme.
C'erano le start up, gli scrittori che discettavano sulla necessaria e imprescindibile visibilità loro imposta dal bookbusiness, le star televisive prestate alla letteratura e viceversa, persino gli sciocchi che tallonavano gli autori per ottenere un selfie.
C'erano tanti, tanti libri. Sistemati in stand eleganti, con addetti accoglienti e informati, novità editoriali in primo piano, ospiti illustri. Ma anche aree piene zeppe di volumi, sorvegliati da personale silente e distratto, che facevano sembrare il tutto più simile ad un reparto di grande magazzino o ad una gigantesca libreria.
C'era chi leggeva, chi comprava, chi solamente passeggiava, chi ascoltava. 
C'erano grandi, piccoli e piccolissimi in un luogo in cui muoversi liberamente e farsi coinvolgere o meno dalla manifestazione, scegliere le proposte, esserci, non solo virtualmente, con la fatica degli spostamenti, il peso dello zainetto sulla spalla, il pensiero del treno da non perdere.
Cultura?
Agli occhi di chi scrive, anche questo Salone è parso, come sempre, uno spazio che promuove la lettura e scusate se è poco.


mercoledì 16 aprile 2014

La festa dei limoni


Si tiene ogni anno a Mentone, tra febbraio e marzo, in un tripudio di colori e profumi.
Vi prendeva parte, con la sua famiglia, anche Longo, il protagonista del romanzo di Marco Braico, prima che la leucemia glielo impedisse e, durante il calvario della  cura, diventa un importante obiettivo da raggiungere, quasi il simbolo della vita riconquistata nella pienezza delle sue emozioni.
Chi ha percorso o disceso la scala di questa malattia, come di altre, conosce la sensazione di smarrimento che accompagna gli stadi dell'illusione e della disillusione, ma anche della speranza. Perché sempre, vitale, affiora il sospetto che non possa capitare proprio a noi e si troverà infine un modo per guarire.
Il racconto di Braico è un inno alla vita e alle persone che vi si dedicano combattendo la malasorte e la mancanza di risorse economiche per la ricerca, studiando e sperimentando nuove terapie, senza smarrire la forza di una battuta per ridimensionare la tristezza.
L'autore ha vissuto in prima persona l'esperienza della leucemia e, come il protagonista, è professore di matematica e fisica in un liceo. Molte sono le digressioni e i salti temporali nel suo racconto: le aule scolastiche, microcosmo di relazioni; le leggi matematiche, affascinanti e utili anche per decodificare i diagrammi di efficacia delle cure; il terreno della tifoseria sportiva e i candidi letti ospedalieri, dove la vita continua per alcuni, tra tentativi terapeutici e trapianti di midollo osseo, e si arresta per altri. 
Pagine che sempre si nutrono di compassione e forza insieme e sembrano dedicate sia a chi non ha avuto la possibilità di superare la leucemia, come ai fortunati del tutto estranei al problema e a quanti ne sono usciti vincitori.
Perché "noi siamo come il cielo. Ci consoliamo con rabbia e lacrime quando l'elettricità dentro di noi diventa troppa".


La festa dei limoni. Il profumo della gioia di vivere, Marco Braico, Effatà Editrice, 2011.
Il ricavato della vendita del libro sarà interamente devoluto al Reparto di Ematologia 2 dell'Ospedale Le Molinette di Torino, per "affrontare in modo più leggero la malattia". 
L'autore assicura che a lui resteranno solo "vanità e gioia".







lunedì 7 aprile 2014

Lessico familiare





Mémoir strettamente intrecciato con la cronaca di Laura Walter. Un anno raccontato nel susseguirsi dei mesi e attraverso i decenni indimenticabili della crescita, a partire da un tempo in cui non esisteva internet, fino ai giorni nostri, con la consapevolezza degli adulti pieni di ricordi.
L’autrice ci prende per mano e ci porta in quella zona della vita che sarebbe malinconica se non fosse sorretta da un sano sense of humour. È il dialetto, trascritto senza vezzi filologici, a ristabilire la concretezza delle situazioni e l’atmosfera, per esempio, del Natale «di pancia e poesia», mentre la neve «faliva» e poi «la taca anca per strada».
Non manca nulla nel suo racconto, perché si coglie sia il mondo «grande» che la sorpresa della sua scoperta nell’infanzia.
Troviamo un contesto familiare sereno e ricco di figure parentali narranti ciascuna la sua storia esemplare, almeno agli occhi bambini: i nonni, tutti «onorevoli»; le nonne, tutte «strambe»; lo zio Nino, che ama i «caoboi» e le cugine francesi che portano «una ventata interculturale in quel di via Maganza».
Poi c’è la Televisione, con le sue edizioni straordinarie che gettano lo sgomento in famiglia e dipingono sulle facce bambine un punto di domanda. Soltanto anni dopo si capirà che era la Storia, piena di stragi e contraddizioni.
Tra avventure estive e ritorno in città, scuola, parrocchia e casa dei nonni, passaggi in moto col cugino, che la chiama «PrinciFessa» e scorribande sull’Apecar del lattaio Franco, «tutto sputato Gianni Morandi», gli anni passano, si diventa grandi e capaci di volgersi indietro per porgere un semplice “Ciao, grazie” agli adulti amorevoli che hanno donato l’esempio etico e la memoria affettiva.

Duiulaìc? Tredici mesi di lessico familiare e storia d'Italia, Laura Walter, Cleup, Padova, 2013.