Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

sabato 1 dicembre 2018

I racconti di Sfinge


I racconti di Sfinge stupiscono subito per la freschezza della lingua e l'attualità dei temi.  In prima o terza persona, narrano di  donne  borghesi colte in vari momenti della loro vita con tocchi precisi eppure delicati e rappresentano  una critica alle convenzioni del tempo, come sottolinea Luciana Tufani  nella Prefazione.  Eugenia Codronchi Argeli (1865 - 1934), dietro lo pseudonimo Sfinge, pubblicava e veniva diffusamente letta in un periodo in cui molte donne avevano cominciato a farsi conoscere sulla carta stampata, eppure i loro nomi sono caduti nell'oblio, sorte che  capitò anche a lei. Coraggiosa nella scrittura, femminista  e spregiudicata , ha lasciato numerosi romanzi, racconti, articoli e saggi che hanno costituito, alla sua morte, il fondo Codronchi, che comprende anche il lascito di Bianca Belinzaghi, la compagna della sua vita.
Il volume comprende otto racconti provenienti da due diverse raccolte, mi concedo qui di parlare degli aspetti  che più mi sono piaciuti. In letteratura, non è contemplata la sola categoria del gradimento per la valutazione di un testo, ne sono consapevole,  occorre basarsi su altre caratteristiche, ma tutti questi racconti   sono ugualmente segnalabili per la fluidità e ricchezza della lingua, hanno un impianto narrativo con un respiro nel tempo e una notevole varietà di personaggi, tutti descritti con una penna intinta nell'ironia.
Ne Un dolore inconfessabile l'incipit è potente: «Regina Polo, come la maggior parte delle donne, non aveva nella sua vita mai pensato: aveva solo sentito. Sentito l'affetto per la sua austera famiglia paterna, il rispetto per tutte le leggi e per tutte le tradizioni, la vanità innocua per la sua giovanile bellezza».  Questa donna che aveva solo "sentito" viene (naturalmente) condotta per mano e gestita da un uomo, suo marito, per un certo numero di anni finché lui non desidera spingersi oltre, associandosi a un'impresa di scoperta geografica che sortirà nella sua presunta morte. Prevedibilmente vengono meno, per la donna, tutti i suoi punti di riferimento, fino a quando non comincia ad assaporare la libertà di muoversi autonomamente seguendo le sue proprie motivazioni e decisioni. E qui il tocco di genio di Sfinge, la situazione si capovolge per la ricomparsa del marito, da cui il dolore inconfessabile di lei, fatto soprattutto di  sgomento e senso di colpa per l'incapacità di felicitarsi del suo ritorno: «[...] accolse il suo glorioso marito, ricominciò accanto a lui l'antica vita, avendo nell'anima la zanna di un dolore che si vergognava di sé [...] e che era creduto da tutti un eccesso di gioia».
Il perdono si segnala soprattutto per l'opprimente influenza dei parenti e conoscenti tutti sulla donna che "deve perdonare" il tradimento del marito. Non c'è spazio per una scelta diversa e il marito se lo aspetta come fatto dovuto, senza neppure capire la profondità del rifiuto di lei, ben oltre il rispetto delle convenzioni: «Io vi perdono, sì, Guidobaldo: Posso finalmente perdonarvi perché...non vi amo più».
La sposa del grand'uomo è l'unico racconto apparentemente  scritto con un punto di vista maschile e si qualifica subito come una critica alla pratica del giornalismo che si piega alle leggi del mercato, sovvertendo il criterio di verità per incontrare il piacere del pubblico.  Il giornalista in questione è specializzato in interviste e, appunto, intervista "la sposa di un grand'uomo", dove" grande" significa d'attualità, di moda, di cui si parla (concetto di grandezza che riscontriamo quotidianamente anche ai giorni nostri sui social), e che ha deciso di sposare la donna che frequenta da tempo. Ma il giornalista si imbatte in  una ragazza molto diversa dalle liriche in cui è stata immortalata, «una intelligenza meschina, una scarsità assoluta di sentimento, una quadratura matematica nelle piccole e immutabili idee di donnaccola volgare e presuntuosa». E allora l'articolo che ne scaturisce è «una spudorata menzogna» perché «la verità si dice solo quando nessuno ci ascolta».
Un innamoramento inappropriato, ne La nemica inerme, tra una giovane e un uomo sposato, anche se scoraggiato con tutti gli argomenti del buonsenso e mantenuto su un piano puramente platonico, sortisce l'effetto di farsi notare dalla moglie. La storia si conclude in modo imprevedibile, dopo un'analisi delle parti in gioco sotto l'ottica della sorellanza.
Da sempre l'uomo si paga i suoi piaceri carnali e l'opinione corrente non se ne scandalizza, ma guai se a farlo è una donna e guai a scriverne in quel giro di secolo tra Ottocento e Novecento. Deve essere sembrata scandalosa la nostra Sfinge nel tratteggiare un personaggio di donna ricca, molto ricca, che non lesina i suoi denari nel  mantenere un giovane per il suo proprio piacere, come Floriana de Predis in Fugge l'ora.
Tutto il rovello di due madri nei confronti di una figlia  e di un figlio, che tradiscono le loro aspettative, in Parole non pronunciate mai, e Io e mio figlio. Ci sono   l'incapacità di gestire con sincerità e trasparenza i conflitti inevitabili, e la difficoltà di vivere il distacco da sé, come naturale evoluzione di un rapporto filiale, eppure un sussulto di orgoglio materno sembra, infine, smentire almeno una delle due.
Quanto all'ultimo racconto,  Pie donne, non aspettiamoci un ritratto tipo Excellent women  di Barbara Pym, non c'è una Mildred con una vita piena che desidera magari  il matrimonio ma sa vivere anche senza. Nel racconto di Sfinge solo donne ricche, maritate o zitelle con tutti i vizi capitali riuniti in loro: avarizia, superbia, invidia, accidia, ira, gola, tranne uno, la lussuria, a cui non hanno mai ceduto. E dall'alto della loro posizione privilegiata, queste matrone sferzano tutti i comportamenti che ne contemplano anche solo un'oncia, sicure, tronfie, orgogliose «fanno la pioggia e il sereno nell'ambiente morale della importante città di provincia» dando a destra e a manca «brevetti di onestà alle più giovani» che giudicano,  assolvono o condannano». Un'ironia costante,  simile al sarcasmo,  cesella i caratteri di queste cosiddette pie donne, e le mette alla berlina con un approccio molto contemporaneo, fino a  farci scordare che  stiamo   leggendo un'autrice del secolo scorso.

I racconti di Sfinge, Eugenia Codronchi, Luciana Tufani Editrice, 2018.


Una più ampia recensione è pubblicata su
Leggere Donna, 182/2019







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