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lunedì 29 gennaio 2018

Il terzo tempo


Probabilmente Marcello Marchesi*, e il suo signore di mezza età, oggi non incontrerebbero molto successo, impegnati come siamo a sentirci e viverci eternamente giovani, ma  Lidia Ravera, sfiorando un tabù nel suo Il Terzo Tempo, va addirittura oltre questa definizione, fino all'inizio della vecchiaia. Con uno scatto creativo e scaramantico fa compiere alla protagonista, Costanza, l'eutanasia di un rapporto trentennale, con le motivazioni più varie: per non aspettare che morte separi, per non camparsi addosso trovandosi indigesti, per non costringersi a curarsi l'un l'altro. In realtà, la protagonista della storia sta anche cercando di elaborare il lutto materno, arrivato dopo un periodo estenuante di cure umilianti, a suo dire, per lei e  la madre.
La prosa di Ravera è sempre lucida, tagliente e, nella prima parte del libro, anche militante. Non riesce, o non vuole, questa autrice, prescindere dalle sue esperienze giovanili, dalle scelte politiche compiute nel mitico crocevia sessantottesco, così i dettagli, i riferimenti di quel periodo ritornano sempre nelle sue opere, filtrate qui dal tempo che cambia tutto: le persone, le situazioni economiche, le condizioni di salute. In ogni caso, qualunque sia il "gradiente" autobiografico di questo romanzo, non si respira alcun rimpianto, piuttosto un accanimento malinconico di quello che fu. E la scelta di rintracciare gli amici, nella loro naturale diaspora, sembra un'operazione quasi sciocca o, almeno, inutile, promossa da uno scatto caratteriale più che da un'analisi seria. Costanza li vorrebbe raggruppare in un'abbazia ricevuta in eredità dal padre, perché possano invecchiare insieme, nella riproposizione di un nucleo domestico che, per lei, rappresentò la fuga dalla famiglia verso nuovi stili di vita. Non è tanto l'idea, già peregrina di suo, quanto la strada che decide di percorrere, a sembrare astrusa, tra un figlio, che dice di adorare, e che le scombina non poco le carte, e un marito, allontanato perché giudicato ormai di troppo. Rasenta persino la mancanza di rispetto verso l'ex coniuge, come fosse il prolungato capriccio di una bambina, mettendolo alla porta senza nemmeno permettergli di scegliersi i libri da portare via. Ma il suo castello programmatico va in frantumi perché la realtà non si piega al suo volere e lui, l'uomo messo in disparte, accantonato,  riesce a costruirsi un'alternativa che lascia la protagonista stupefatta e destabilizzata.
«Nei giorni seguenti Costanza sperimentò il silenzio e l'immobilità. Non l'aveva mai fatto. Mai era stata ferma e zitta ad ascoltare quel tipo particolare di disperazione che prende la forma della gelosia. O forse dell'invidia. Silenzio e immobilità. La nauseante avventura della sofferenza amorosa».
La seconda metà del libro  si presenta diversa per tono e scrittura, infatti pare ci sia una resa progressiva all'ineluttabilità dei fatti e una prevalenza di emotività. La protagonista cerca di ripercorrere i luoghi dove fu felice con il marito e il figlio, quasi un antidoto alla consistente dose di amarezza che deve deglutire. Lidia Ravera si conferma capace di dominare la materia incandescente dei sentimenti, tra storia e memoria,  sempre con una piccola accetta che non esita a calare, già in apertura, ed è tutto un programma. Un incipit in qualche libera misura tolstoiano, corretto da una buona dose di ironia.
«Quando si è giovani, si è giovani, più o meno, tutti nello stesso modo. Vecchi, se si resta in vita abbastanza, lo si diventa ognuno a modo suo. La giovinezza viene contraffatta, corteggiata, rimpianta. È una diffusa vanteria, in certi casi una giustificazione. Quasi sempre la condizione necessaria, anche se insufficiente, per essere invidiati. La vecchiaia è la resa a un finale scontato. Ha la morfologia della tragedia. Come per la maggior parte delle tragedie acclarate, genera innanzi tutto i negazionisti, quelli che la vecchiaia non esiste, e se esiste capita solo agli sfigati. Poi ci sono i nostalgici del passato, nelle due varianti: lirici e acidi. I primi sono inoffensivi, i secondi rosi dall'invidia (da evitare). Più articolati i martiri della dissociazione positiva: quelli che si dichiarano vecchi fuori e giovani dentro, come se, arrivati a un certo punto, non si avesse più diritto a essere interi. Ultima categoria, i partigiani del rimpianto (quello che avrei potuto fare e non ho fatto). In genere si tratta di vecchi ferocemente incazzati con se stessi e perciò costretti prima o poi a ricorrere ai farmaci».
Nel cinquantenario del Sessantotto, che si annuncia denso di rivisitazioni, saggi, confronti e chissà cos'altro, questo romanzo si impone con una voce non esile, una lettura intima di un tempo in cui il personale era politico e ricorda l'utopia in cui alcune persone, che l'hanno vissuta da protagonisti o spettatori,  potrebbero ritrovarsi, in tutto o in parte.

Il terzo tempo, Lidia Ravera, Bompiani, 2017.

Nota al testo
* Marcello Marchesi (1912 - 1978) fu scrittore, sceneggiatore e regista.

Sull'argomento vecchiaia e dintorni avevo già scritto (nel post De Senectute, 24/03/2013), ma suggerisco anche questi altri titoli:





















L'età pericolosa, Karin Michaelis, Giunti 1989.
Scritto nel 1910, meriterebbe una riscoperta. Presenta la svolta nella vita della protagonista che,  in qualche modo e alla lontana,  richiama il gesto di Costanza ne Il terzo tempo di Lidia Ravera.

L'età di mezzo, Joyce Carol Oates, Mondadori, 2015.
Qui siamo in una cittadina che somiglia al set di Desperate housewives e una per volta conosciamo i pensieri e le frustrazioni delle donne che hanno avuto un qualche rapporto con un amico venuto a mancare improvvisamente. Uno sguardo ironico e senza sconti sentimentali sulle contraddizioni e i limiti relazionali della middle class americana fotografata, appunto, nell'età di mezzo.

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