Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

martedì 28 aprile 2020

Middlemarch






In questi giorni di forzato confino domestico non è raro dedicarsi alle riletture e, a me, è sempre gradito riprendere in mano testi letti nella prima giovinezza in pubblicazioni ridotte e illustrate,  rivisitandoli con un occhio da terzo millennio e, finalmente, in edizione integrale. Ebbene, ne può nascere un innamoramento come nel caso ddi Middlemarch, dell'inglese George Eliot (1819 - 1878) dalla cui penna è uscito il più famoso Il mulino sulla Floss.
Approcciare un tomo di ottocentoventicinque pagine con una scrittura densa, un registro medio alto, citazioni dotte che richiedono il ricorso alle note, e poi descrizioni puntualissime di luoghi e persone, può far esitare. Tuttavia questo spaccato di provincia  si rivela uno studio profondo di persone e pensieri e, dopo poche pagine,  non pare di trovarsi nell'Ottocento inglese e campagnolo, tanto le emozioni e i caratteri sono universali e senza tempo.
In questo romanzo alcuni giovani si muovono, secondo le convenzioni del tempo, per trovare il loro posto nel mondo, si innamorano, si sposano, cercano un lavoro, o un modo per trascorrere il tempo, o per impiegare il loro patrimonio, circondati da adulti che vogliono indirizzarli, o piegarne gli slanci con il favore delle tradizioni. Sebbene rigidamente divisa in classi, quella società vede anche  in azione spiriti liberi e idealisti come Dorothea e Tertius, entrambi votati a cause non comuni, il supremo bene caritatevole per l'una e la speculazione scientifica per l'altro, poi entrambi coinvolti in matrimoni deludenti, con un prezzo elevato da pagare in termini di adattamento e tristezza. Ci sono anche giovani più convenzionali e dotate di spirito pratico, come Mary e Celia, che vedono con chiarezza quale sia il loro futuro e si adagiano nel  ruolo di figlie, mogli e madri. E donne frivole ed egocentriche come Rosamond, che riesce a piegare alla sua volontà persino  il desiderio di ricerca del marito. Giovani gentiluomini sfaccendati e dediti al gioco come Fred, spudorati lestofanti come Raffles, ambigue figure come Bulstrode, che vivono sul confine sottile tra crimine e legalità. Buoni curati e signore dedite al pettegolezzo, baronetti che vanno a caccia e imprenditori sempre in crisi economica, una classe benestante e molto osservante dei crismi religiosi, decisa ad allontanare da sé chi non rientra negli schemi dettati da rango e censo. Si va a piedi a Middlemarch e, chi se lo può permettere, in calesse o carrozza, ma sta arrivando la ferrovia, con il vento nuovo del progresso che costringe a confrontarsi con le novità e dividere i poderi.
Su tutto, la narratrice onnisciente Mary Ann Evans, celata dietro l'eponimo George Eliot, imbastisce una trama fitta di avvenimenti e sviluppa un discorso profondo sulla scienza medica, sul ruolo e la preparazione dei medici, il modo di prescrivere le ricette e somministrare i farmaci, e la possibilità di arginare e curare le malattie contagiose. Ne raccomanderei la lettura a chi ha prestato il giuramento di Ippocrate, ma anche a chi, come me, pensa che la medicina odierna sia ancora impastoiata tra artigianato e sciamanesimo, la lettura può risultare persino divertente grazie alle non rare perle d'ironia.
L'autrice aveva    cinquantanove anni  quando scrisse questo romanzo, che riposò sugli allori dei precedenti e fu subito acclamato quale suo capolavoro. Virginia Woolf ne tesseva le lodi da par suo dicendo che i libri di Eliot «ci regalano un banchetto abbondante» e «le sue simpatie sono per la gente comune e agiscono con la massima felicità quando indugiano sull'ordito domestico di gioie e dolori. [...] Il flusso di umorismo che ella versa così spontaneamente dentro una figura, una scena dopo l'altra, finché non è fatto rivivere l'intero tessuto dell'antica Inghilterra rurale, ha molto in comune con un processo naturale che lascia ben poco spazio alla critica. Accettiamo, sentiamo quel delizioso calore e quella libera emanazione di spirito che soltanto i grandi scrittori creativi ci procurano. [...] ella raccoglie nella sua ampia stretta un grosso mazzo degli elementi principali della natura umana e li raggruppa senza rigidità, con un intelletto tollerante e sano che, come si scopre alla rilettura, non soltanto ha mantenuto le sue figure fresche e libere, ma ha conferito loro una presa inattesa sul nostro riso e sulle nostre lacrime».
In particolare, delle eroine di Eliot sottolinea che «cercano la loro meta nella cultura, nei compiti quotidiani della femminilità [...] non trovano quello che cercano» perché  «l'antica consapevolezza della donna, carica di sofferenze e di sensibilità, e per tante epoche muta, sembra in loro aver colmato il recipiente e quindi essere traboccata». Così come fu  per George Eliot  poiché «il fardello e la complessità dello stato femminile non bastarono: lei dovette sporgersi oltre l'asilo e cogliere per sé gli strani coloriti frutti dell'arte e del sapere».
La penna ammirata di Virginia Woolf ci guida nell'apprezzamento di questa autrice dimenticata e di questo romanzo e anche Antonia Byatt ci aiuta a rilevare, per esempio, che non c'è alcun  "risarcimento" nella storia in quanto i personaggi non vengono compensati dalle loro sofferenze con un matrimonio felice o una cospicua ricchezza, perché Middlemarch è sì un romanzo pieno di passioni, ma non è romantico.
Ognuno tragga quello che vuole dalla lettura, a me piace concludere con le parole che la stessa  Eliot usa per chiudere la sua opera:
Il suo spirito delicato, tuttavia, ebbe le sue delicate espressioni, anche se queste non furono granché visibili. [...] Ma l'effetto della sua esistenza su coloro che la circondarono si diffuse in misura incalcolabile: perché il bene crescente del mondo in parte dipende da azioni prive di storia; e il fatto che per me e per voi le cose non vadano così male come sarebbe stato possibile, è per metà merito di coloro che condussero fedelmente un'esistenza nascosta e riposano in tombe neglette.


Middlemarch, George Eliot (traduz. di Mario Manzari), BUR Rizzoli, 2008.
Le citazioni di Antonia  Susan Byatt sono tratte dall'introduzione al libro di cui sopra.
Le citazioni di Wirginia Woolf sono tratte da The Common Reader: First Series, The Hogarth Press, 1925, contenute nel volume Voltando pagina. Saggi 1904 - 1941, a cura di Liliana Rampello, ilSaggiatore, 2011.


già pubblicato su:
https://cartesensibili.wordpress.com/2020/04/28/lauradeilibri-laura-bertolotti-middlemarch/