Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

giovedì 30 gennaio 2020

Piccole donne, film



Ci sono libri che rimangono nell'immaginario e accompagnano le fasi della vita, i classici libri che si potrebbe scegliere di portare con sé su un'isola deserta. Famosi e diffusi capillarmente a dir poco, quando non veri e propri generatori di grandi profitti, grazie a gadget, riduzioni cinematografiche, trasformazione in graphic novel e quant'altro. Lo si può dire dei romanzi di Jane Austen, diventata una vera e propria icona pop, ma il fenomeno riguarda anche Louisa May Alcott (1832 - 1888) e il suo romanzo più conosciuto, Piccole donne.
In occasione dell'uscita del film di Greta Gerwig (Warner Bros, 2020) che ne ha curato anche la sceneggiatura, si sta riscoprendo il romanzo alcottiano. È almeno il sesto adattamento cinematografico di Piccole Donne, le prime due pellicole mute del 1917 e 1918, l'indimenticabile Jo-Katharine Hepburn  nel 1933, diretta da George Cukor, la versione del 1949 di Mervyn LeRoy e infine la più recente, di Gillian Armstrong del 1994, con Jo-Winona Ryder e Susan Sarandon nel ruolo della madre.
La regista statunitense Gerwig,  che ha un passato di attrice e sceneggiatrice, già premiata per il precedente Lady Bird, ha realizzato un nuovo film ispirato al romanzo che, non a caso, arriva dopo la campagna MeToo e sottolinea  più esplicitamente di tutti gli altri, la componente proto- femminista della scrittura di Alcott. Inutile comparare film e romanzo, anche se è operazione quasi immediata e le deviazioni dal testo risaltano talvolta stridenti e inaccettabili. Eppure questa versione, la meno vittoriana di tutte, la più chiara e luminosa, con la sua fotografia di largo respiro, la recitazione impeccabile di attrici e attori, si rende assai piacevole alla visione e offre  la chiave di lettura più aderente al romanzo, in linea con la critica recente. Infatti, troppo sovente incasellata nel genere letterario di ambientazione domestica, Louisa Alcott, detta Lou, sotto l'ambiguità dei toni, dal pedagogico al sentimentale, non promuove affatto lo  spirito di sacrificio per il ruolo di moglie e madre, suggerisce piuttosto il conflitto tra lavoro, ambizione, desiderio e disciplina.
Questo film, più dei precedenti, propone un'immagine di Jo, con le dita annerite dall'inchiostro,  per cui la scrittura è insieme cibo e amore, e  si pone come un aperto invito a coltivare i propri sogni e interessi, sottolineando  le rinunce che attendono le ragazze nella vita matrimoniale, specie se estroverse e creative. L'unica osservazione che mi sento di fare attiene all'espediente abusato, almeno nelle fasi iniziali della pellicola,  dei ripetuti rimandi  dal romanzo alla vita dell'autrice e viceversa, creando non poca confusione fra i due piani della storia,  per chi non abbia letto il romanzo.
Invece a lettrici e lettori affezionati di Louisa Alcott il film permette un ripensamento e una riflessione sulla sua opera letteraria, anche la parte solo toccata tangenzialmente dalla pellicola.  Alcott scriveva  sotto la costante pressione dei debiti di famiglia, essendo cresciuta in un ambiente culturalmente ricco di stimoli culturali e di relazioni importanti, ma povero di mezzi economici. Fin da giovane sentì su di sé, più forte di quanto l'avvertissero le sorelle, la responsabilità di mantenere la famiglia e fece i lavori più vari, tra cui l'istitutrice, la domestica, l'insegnante,  ma coltivando sempre il piacere della scrittura, a cui si dedicava nottetempo e anche a scapito della sua salute. Si rese famosa per un libro, Hospital Sketches (tradotto da Sara Grosoli, L'Iguana, 2018) che raccoglieva, romanzandole, le sue lettere ai familiari, scritte quando prestava lavoro volontario come infermiera durante la Guerra Civile. Grazie al discreto  successo che ne seguì, l'editore le chiese allora di scrivere un libro per "giovinette". Ma Alcott non aveva mai scritto prima d'allora per l'infanzia e temeva di non saperlo fare, i suoi proventi le venivano da racconti gotici che pubblicava in forma anonima o con lo pseudonimo A. Barnard, all'insaputa del padre, di cui temeva  l'inflessibile giudizio morale. Non sembri fuorviante il particolare, perché la situazione familiare di Louisa, non era esattamente quella che si evince dai romanzi del ciclo della famiglia March,  e piuttosto illuminante in tal senso è la biografia di Martha Saxton (1995, tradotta da Daniela Daniele, Jo March edizioni, 2019). La biografa, dopo aver letto i diari del padre, della madre, di Lou e molte lettere, dipinge il ritratto di un padre perso nei suoi studi, insensibile alle sorti della famiglia, una madre che doveva sopperire a tutto e le figlie avviate a una vita di lavoro, in controtendenza con i tempi che le volevano soltanto spose e madri. Si deduce che Alcott scrisse perciò pensando alla sua famiglia non com'era, ma come avrebbe desiderato che fosse,  facendone un ritratto decisamente migliore, edulcorando il personaggio del padre, riconoscendo gratitudine alla madre, e assegnando ruoli alle sorelle e a se stessa non strettamente riconducibili alla realtà della sua vita.
Piccole Donne fu pubblicato quando l'autrice era ormai trentaseienne, dopo la delusione di  un altro romanzo, a lei molto caro, Moods (Mutevoli umori, Boringhieri, 1995) accolto tiepidamente dalla critica, e si trovava provata nella salute e stremata negli entusiasmi. Il successo che seguì la colse di sorpresa e la convinse della superiorità dei romanzi di ambientazione domestico-sentimentale rispetto al genere gotico-romantico che aveva sempre preferito. 
Il film restituisce un affresco della vita americana ottocentesca, in cui trionfano la positività dei sentimenti e la soddisfazione di aver raggiunto i propri obiettivi. E dalla visione si ricava uno splendido ritratto di giovane donna, Jo, determinata a costruirsi il suo futuro, facendosi carico delle responsabilità senza rinunciare ai sogni. 
Forse è proprio questo  il messaggio del nuovo film Piccole Donne: far riscoprire un'autrice che fu sempre saldamente dalla parte delle donne.

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Il mulino sulla Floss

Perché leggi le vittoriane?  - mi chiedono  - Cosa possono dirti autrici ottocentesche, cosa c'entrano con la complessità del nostro tempo? - Sono intense, profonde, attualissime - rispondo.
Sull'attualità dovrei specificare, ma non è mia intenzione farlo ora, preferisco raccontare de Il mulino sulla Floss, di George Eliot, alias Mary Ann Evans (1819 - 1880), i cui libri finirono persino sul comodino della regina Vittoria.
Scordatevi qui  il lieto fine, con il matrimonio, la festa e la composizione ordinata e armoniosa di fatti e conflitti. L'andamento della narrazione sembra piuttosto  ricalcato sulle dinamiche fluviali della Floss, nel suo  scorrere lento e limaccioso, passibile però di repentine correnti e improvvise alluvioni. Così sono  i sentimenti e le azioni di protagonisti e protagoniste: si manifestano piano piano, vengono ribaditi e poi si trasformano in un turbine di emozioni che contagia, coinvolge e intriga  irrimediabilmente.
Scritto nel 1860, quando l'autrice aveva già pubblicato  Scene di vita clericale e viveva ormai da tempo  more uxorio con George Henry Lewes, destando non poco scandalo tra i benpensanti contemporanei. Settecentosessantasei pagine di godimento puro, tra progressione della trama, piuttosto scarna, e digressioni del narratore (narratrice) onnisciente che puntualizza, annota, chiosa e si permette un coinvolgimento diretto nell'interpretazione dei fatti e del carattere delle persone. Proprio lo spostamento di attenzione da trama a carattere dei personaggi primari e secondari caratterizza questo romanzo rendendolo interessante, a mio parere,  anche  a lettrici e lettori di oggi.
Romanzo corale con al centro una famiglia benestante proprietaria da tre generazionidi un mulino, sono i signori Tulliver, genitori di Tom e Maggie, fratelli legati da un rapporto molto forte e profondo, anche se  sbilanciato da parte della ragazza. Infatti è l'infinita ammirazione di Maggie per Tom, il suo perenne bisogno di approvazione e il patetico desiderio di compiacerlo, a fronte della severità di giudizio di lui, con la sua miope capacità di comprensione e l'enorme stima di sé che segna la temperatura di questa  fratellanza asimmetrica. Intorno, un nugolo di parenti con una spiccata propensione a influenzarli. La vicenda comincia con Maggie bambina e Tom in procinto di incominciare nuovi studi.  La mente di Maggie è più predisposta alla conoscenza e più veloce nell'apprendere ma, sebbene queste caratteristiche vengano riconosciute dal padre, non viene considerata per lei la strada dell'istruzione perché è solo una donna. Si percepisce nettamente l'ambiguità del tono dell'autrice mentre sottolinea  il destino prefissato della ragazza, obbligata dalle convenzioni ad adeguarsi al futuro ruolo di moglie, madre, donna di casa, a cui la cultura a poco potrà servire. La storia si svolge fino all'età adulta dei due ragazzi, con alterne sfortune, promesse ardue a mantenersi, per Tom la dura gavetta del lavoro e per Maggie il desiderio di autonomia frustrato dalla volontà di lui di ricacciarla nel limbo della dipendenza fraterna.
George Eliot, com'è ricordata perché lei stessa si identificò pienamente nel suo nom de plume, ha trasformato la vita ordinaria e scontata del piccolo paese di St.Ogg's, con le case dai tetti rossi e le più umili abitazioni in riva al fiume,  in una vicenda pulsante in cui  si respira l'anelito a benessere, amore e cultura come ricompensa per disastri e fatica.  Troppo spesso mortificato da traduzioni parziali e riduzioni vandalizzanti,  Il Mulino sulla Floss merita di essere  letto nell'edizione integrale per gustare le puntuali descrizioni del paesaggio, dovute all'approccio positivista dell'autrice, e l'ironia  dei dialoghi, sapientemente cesellati tra rispetto delle convenzioni e primato dei desideri.  

Il mulino sulla Floss (The Mill on the Floss), George Eliot, traduz. di Alessandro Fabrizi, introduz. di Emanuele Trevi, Neri Pozza Editore, 2019.

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https://cartesensibili.wordpress.com/2020/01/28/lauradeilibri-laura-bertolotti-il-mulino-sulla-floss/