Il pretesto mi è dato dal
piacevolissimo libro di Matteo Bussola che ho particolarmente apprezzato per lo stile accorato e per i contenuti, raccontati,
ebbene sì, da un uomo, cosa non del tutto abituale. Ma verità vuole che ammetta
la volontà pregressa di parlare dell'argomento e, da questo, spaziare.
Come insegnante ho visto "crescere" una, o forse due, generazioni di genitori insicuri, fragili, polemici, arroganti e potrei continuare. La mia osservazione diretta, nell' ambito della Scuola Primaria, si ferma al 2010, ma avendo cominciato la mia "carriera" nella metà degli anni Settanta, posso attestare i primi segni di questo mutamento antropologico-sociologico, diciamo così, a metà degli anni Ottanta. Osservavo un difficile porsi dei genitori, non tanto e non subito, nei confronti degli insegnanti, quanto verso i loro stessi figli, e poi, progressivamente, un lento restringimento della loro delega educativa, quasi un bisogno di controllare la proposta della scuola, ben al di là della fiducia nei metodi e nella competenza dei docenti. Coglievo la necessità, oltre alla volontà, di vivere la vita dei propri bambini, seguire i loro spostamenti, le loro frequentazioni, anticiparne i desideri, risolverne i problemi, supportare tutte le loro richieste e, last but not least, difenderli sempre. Sempre. Poteva essere una nota, un richiamo verbale seguito a un compito non eseguito, oppure la sottolineatura di un comportamento scorretto nei confronti di compagne e compagni di classe, ma per tutto c'era sempre una giustificazione pronta, la responsabilità allontanata dietro una trincea per difenderli e difenderle dal cattivo/a insegnante, ingiusto/a, impreparato/a, fazioso/a, a seconda dei casi. Notavo l'incapacità dei genitori di far vivere ai propri figli le eventuali frustrazioni, attraversarle, superarle cercando proprie strategie. Anche la volontà di far frequentare i compagni e le compagne oltre l'orario scolastico e la domenica mi forniva una lettura negativa: si riproponevano sempre le stesse relazioni, sempre gli stessi " tavoli di gioco", gli stessi ruoli: tu sei il leader, tu sei la bulla, tu sei la brava, tu picchi, io me le prendo e via così. E i genitori che, insieme, un po' socializzavano e, soprattutto, si controllavano a vicenda, in modo che "gli altri" non avessero più opportunità dei loro figli.
Come insegnante ho visto "crescere" una, o forse due, generazioni di genitori insicuri, fragili, polemici, arroganti e potrei continuare. La mia osservazione diretta, nell' ambito della Scuola Primaria, si ferma al 2010, ma avendo cominciato la mia "carriera" nella metà degli anni Settanta, posso attestare i primi segni di questo mutamento antropologico-sociologico, diciamo così, a metà degli anni Ottanta. Osservavo un difficile porsi dei genitori, non tanto e non subito, nei confronti degli insegnanti, quanto verso i loro stessi figli, e poi, progressivamente, un lento restringimento della loro delega educativa, quasi un bisogno di controllare la proposta della scuola, ben al di là della fiducia nei metodi e nella competenza dei docenti. Coglievo la necessità, oltre alla volontà, di vivere la vita dei propri bambini, seguire i loro spostamenti, le loro frequentazioni, anticiparne i desideri, risolverne i problemi, supportare tutte le loro richieste e, last but not least, difenderli sempre. Sempre. Poteva essere una nota, un richiamo verbale seguito a un compito non eseguito, oppure la sottolineatura di un comportamento scorretto nei confronti di compagne e compagni di classe, ma per tutto c'era sempre una giustificazione pronta, la responsabilità allontanata dietro una trincea per difenderli e difenderle dal cattivo/a insegnante, ingiusto/a, impreparato/a, fazioso/a, a seconda dei casi. Notavo l'incapacità dei genitori di far vivere ai propri figli le eventuali frustrazioni, attraversarle, superarle cercando proprie strategie. Anche la volontà di far frequentare i compagni e le compagne oltre l'orario scolastico e la domenica mi forniva una lettura negativa: si riproponevano sempre le stesse relazioni, sempre gli stessi " tavoli di gioco", gli stessi ruoli: tu sei il leader, tu sei la bulla, tu sei la brava, tu picchi, io me le prendo e via così. E i genitori che, insieme, un po' socializzavano e, soprattutto, si controllavano a vicenda, in modo che "gli altri" non avessero più opportunità dei loro figli.
Conclusi la mia esperienza
lavorativa con la certezza che i genitori, nella grande maggioranza dei casi,
appiattissero la loro vita su quella dei loro figli, salvo dar segni di fatica,
riluttanza e fastidio, incapaci ormai di quella "distanza igienica"
che permette l'ascolto e, soprattutto, l'esempio.
Per tornare al godibilissimo
libro di Bussola, cito:
«Cosa ci è successo? Quando abbiamo
cominciato a pensare alla scuola come all'erogazione di un servizio nel quale
il cliente ha sempre ragione?».
E
«Lasciar fare i compiti da soli, senza intervenire, da un lato è certamente un rischio. Ma dall'altro, oltre a essere una cosa utile per loro, può rappresentare un'opportunità per noi.
Ancora:
«Sembriamo avere scordato che la felicità
è sì un luogo, ma anche un tempo, ed è quel tempo che dovremmo difendere. Il
loro, e il nostro. Ma il fraintendimento più grande è che quel tempo vada
sottratto alla scuola e agli impegni scolastici».
Non posso che concordare, direi
quasi gongolare. Tuttavia c'è un argomento che Bussola non accenna, forse perché, rivolgendosi direttamente ai genitori, vuole sottolineare la loro possibile parte attiva nella soluzione del problema scuola. Invece a me pare di
pressante attualità parlare anche delle responsabilità degli e delle insegnanti. Sappiamo che, a partire da una certa disposizione
ministeriale, devono poter disporre della laurea per insegnare in qualunque
segmento scolastico, ma purtroppo le misure per garantire una competenza docente
al passo con i tempi sono state presto svuotate da altre disposizioni, volte a
garantire il posto di lavoro e, soprattutto, a promuoverne di nuovi, fino al punto di inserire nei ruoli un gran
numero di cosiddetti "precari", privi del titolo richiesto. Come se
la scuola fosse, prima di tutto, un luogo deputato a fornire lavoro,
occupazione e non occasione privilegiata per educare, imparare, conoscere, progettare
liberamente senza condizionamenti esterni, pubblicitari o altro.
Nei confronti delle e degli
insegnanti, Bussola propone un atteggiamento costruttivo, empatico, di
fiducia, che si può facilmente condividere, ma credo altresì debba andare di
pari passo con un cambiamento epocale delle procedure d'accesso alla professione
docente perché i genitori, da soli, non possono e non devono
assumersi tutta la responsabilità dello stato delle cose e del loro possibile
cambiamento. Ossia, un o una docente qualificata potrebbe riguadagnarsi la fiducia e
la delega educativa dei genitori, potrebbe affiancarli nella loro funzione genitoriale, sapendo quando parlare, tacere e ascoltare, senza sentirsi superiore o sminuito/a nel suo compito. Ma tutte queste azioni non possono essere lasciate alla disponibilità e sensibilità del singolo, e magari isolato, insegnante, devono essere previste e richieste da un protocollo sottoscritto, per così dire, al momento della immissione nel ruolo docente. Non solo nel nostro Paese, tutto il
programma d'istruzione si inserisce in una realtà resa sempre più complessa anche dai problemi
di migranza e diversità di culture, richiede perciò una categoria di docenti disposti a un continuo aggiornamento
per rispondere ai cambiamenti repentini e radicali della società. E preferisco
tacere sugli investimenti non più a lungo procrastinabili nelle strutture perché il discorso si complicherebbe,
fino a diventare un facile alibi per non cambiare nulla. Volendo invece cominciare a
cambiare qualcosa, proporrei di smetterla, e ripeto smetterla, di pensare alla
scuola solo come luogo di lavoro di adulti, regolato da orari, ferie, e quel
che segue in risposta alle loro esigenze. Pensiamo invece alla
scuola come una comunità di soggetti e di diritti, dove i diritti dei bambini e
delle bambine di imparare da docenti molto ben preparati, accoglienti, gioiosi, valga
almeno quanto il diritto alle sicurezze sindacali degli e delle insegnanti. E valga quanto il diritto della società di investire risorse umane
ed economiche nella formazione per la
sopravvivenza democratica del suo futuro.
Utopia, visione completamente sbagliata?
Sono puri i loro sogni. Lettera a noi genitori sulla scuola, Matteo Bussola, Einaudi, 2017.
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