Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

mercoledì 30 maggio 2018

Dacia Maraini, la vita, la scrittura

A scrivere di lei non basta un testo, come posso coniugare l'informazione essenziale sui suoi libri e l'emozione che sempre mi provoca leggerla?
Ci provo e, se vi stancate, lasciate pure il post al suo destino.
Dacia Maraini ha una produzione sterminata di opere, solo quelli teatrali sono più di sessanta titoli, perché ha amato molto il teatro, ha persino co-fondato due compagnie, Il Porcospino e La Maddalena. Per amore del teatro scrisse, spazzò il palcoscenico, rammendò i costumi, suggerì, ma non recitò mai. Una scelta, lei sostiene, dovuta alla sua inguaribile timidezza. 
Tanti e vari i temi che ha affrontato nei suoi libri, i due  romanzi giovanili hanno come soggetto degli adolescenti. Il primo, La vacanza,  fu rifiutato da tutte le case editrici, tranne l'editore Lerici, di Roma che però le suggerì qualcosa del genere: "Bambina mia, se vuoi avere qualche chance, devi procurarti la prefazione di un autore affermato". Lei aveva già conosciuto Alberto Moravia, fratello di una sua insegnante di disegno al Collegio Il Poggio di Firenze, superando la timidezza gli propose in lettura il manoscritto e Moravia le regalò una prefazione in forma di lettera. La sua carriera di scrittrice decollò e cominciò anche la sua relazione con lo scrittore.
L'ultimo libro pubblicato, Tre donne, presenta nonna, figlia e  nipote che vivono insieme, non senza ristrettezze economiche e frustrazioni varie. A rompere il loro fragile equilibrio è un uomo, il convivente della figlia-madre, lo scompiglio che ne deriva genera una lacerazione forte, illuminata infine da una speranza, ma rimane il dubbio che sia proprio tale. Scritto con registri diversi, dal gergo giovanilistico della figlia, a quello scanzonato e scurrile della nonna, e al linguaggio letterario della madre-figlia, amante del viaggio, traduttrice di professione, tesa a vedere il lato romantico dell'esistenza. Fotografia di una famiglia dei nostri giorni che consegna una riflessione singolare  sulla maternità, richiamando il sapore antico del maternage condiviso, lontano dalla chiusura del nucleo familiare ripiegato su se stesso.
Dacia si è occupata di temi difficili nei suoi libri e non si definisce femminista ma "dalla parte delle donne", benché si conosca la sua partecipazione al Movimento, negli anni Settanta. Ne parla diffusamente nel libro intervista La mia vita Le mie battaglie, in cui troviamo anche riflessioni sulla scrittura:
"Non credo che ci sia uno stile diverso (femminile)[...]. Per me, appunto, la ricerca di una scrittura femminile è la ricerca di un punto di vista, che significa visione del mondo. Non significa solo guardare da una parte o guardare dall'altra. Significa complessiva visione del mondo. Quindi comporta prendere posizione di fronte alla filosofia, alla religione, alla medicina, alla mitologia. Queste prese di posizione diventano un'assunzione di un punto di vista, un'assunzione dtorica. E questa assunzione del punto di vista, secondo me, è l'unica distinzione che può esistere tra un uomo che scrive e una donna che scrive. Perché? Perché un uomo e una donna nella storia hanno avuto esperienze diverse" (pag. 17).
La vita di Dacia, nata nel 1936 a Fiesole, vissuta in Giappone fino al 1947, poi a Bagheria, poi a Roma, viaggiando a lungo nel mondo, è raccontata in frammenti e ricordi in molti suoi testi, alcuni marcatamente biografici come Bagheria, che ripercorre il periodo vissuto ai margini del maestoso palazzo Valguarnera, in un pollaio riadattato ad alloggio per loro, i parenti poveri, arrivati dal campo di concentramento giapponese, a guerra finita. Dacia stabilisce una distanza fra il  ramo nobile materno della famiglia, gli Alliata di Salaparuta, impoverito e connivente con la mafia,  come altre famiglie siciliane. Riesce a scriverne solo dopo molti anni e dopo aver raggiunto la notorietà con i suoi romanzi. Proprio visitando il palazzo, sotto la guida sprezzante di una vecchia zia, scorge il ritratto settecentesco di una donna dallo sguardo triste, con un foglio e una matita in mano. Accanto, un altro ritratto di un uomo tutto vestito di rosso, detto "U Gambero", il suo Signor Marito Zio, che la sposò a soli tredici anni, dopo averla stuprata a sette. Qui nasce l'ispirazione, poi nutrita da una approfondita ricerca storica, del  romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa, che  le valse il Premio Campiello nel 1990, e numerosi altri riconoscimenti.
La nave per Kobe racconta invece, attraverso i diari giapponesi della madre, il viaggio avventuroso per nave verso il Giappone, compiuto dalla giovane coppia Maraini, quando Dacia aveva poco più di un anno. Fosco Maraini aveva vinto una borsa di studio, così strappò la tessera fascista che il padre, lo scultore Antonio Maraini,  gli proponeva per ottenere un posto di lavoro e partì con la famiglia. Il diario si interrompe al 1941 e non parla della prigionia, le fotografie in bianco e nero restituiscono l'astmosfera avventurosa di quegli anni, la giovinezza dei genitori e la scuola di Dacia, dove imparò il giapponese. In quel periodo nacquero le sue due sorelle, Youki e Tony.
Della sorella Youki, e delle altre persone a cui Dacia ha voluto bene e da cui ha dovuto prendere commiato, ne parla ne La grande festa, sospeso tra passato e presente, il filo della memoria strettamente allacciato alla realtà degli affetti, per elaborare il lutto in forma letteraria. Qui Dacia parla anche di Moravia, del loro lungo sodalizio affettivo e artistico, della sorpresa e del senso di vuoto che ha lasciato la sua scomparsa e di Pasolini, carissimo amico, con cui compì molti viaggi.
"Mi capita spesso di sognare mia sorella che se ne è andata più di dieci anni fa. [...]Nel sogno mi parla, ma le sue parole non mi raggiungono che smozzicate. Non mi sembra triste, ma quieta, pronta a uno dei suoi scoppi di allegria.[...]Mi chiedo, svegliandomi di soprassalto, quale sia questo luogo da cui sembrano guardarci i morti;questo luogo in cui i nostri cari scomparsi appaioni più vivi di noi; questo luogo in cui le epoche della vita si confondono con tanta facilità e struggimento. [...]Certo i morti hanno qualcosa da dire ai vivi, si tratta di intenderli. Non è sempre facile, perché il loro linguaggio è come il posto in cui abitano: isole sospese sulle acque, dai contorni sfumati e frastagliati."
Dacia dalla parte delle donne, sempre, e nel romanzo-inchiesta Isolina*, che ricorda il miglior Sciascia, emerge nitida la figura di Isolina Canuti, una ragazza simpatica e piena di vita che si scontra mortalmente, è il caso di dirlo,  contro i pregiudizi del suo tempo, quel 1900 in cui i benpensanti si arrogavano il privilegio di dipingere a tinte fosche qualunque donna che non si uniformasse al maschilismo imperante. Storia vera ambientata a Verona, su cui non è mai stata fatta piena luce, emblematica e indimenticabile.
Anche  Buio, raccolta di racconti intensamente narrativi sull'infanzia rubata e abusata, si pone come un libro da leggere assolutamente. Un tema  affrontato con la consueta semplicità, chiamando le cose per nome, non nascondendo mai il lato brutto, oscuro della realtà, ma sempre con una dolcezza espressiva che è la cifra di questa autrice. Questo romanzo vinse il Premio Strega nel 1999, ma pare scritto ieri, a conferma del fatto che il problema rimane drammaticamente attuale.
Dicevo che Dacia ha disseminato aneddoti personali in molti suoi testi, ne La seduzione dell'altrove, racconta alcuni suoi viaggi.
"Caro Giappone, con i tuoi odori di peschi in fiore, di dolci di soia, di pesce fritto e di saké caldo che mi sono stampati nella mempria olfattiva. Mi sei stato madre e padre, e hai lasciato tracce incancellabili sul mio destino. Ho ancora negli occhi le bombe che si disegnavano sul cielo terso, in una mattina nitida, nel campo di concentramento per antifascisti. Erano così lucide e splendenti quelle bombe contro il tuo cielo. Eppure venivano a portare bombe e distruzione" (pag.164).
Si chiede il perché dell'accanirsi tanto sul significato del viaggio, dopotutto si viaggia solo per il piacere di viaggiare e basta. Afferma che il viaggio sia un male di famiglia, a partire dalla nonna paterna, anglo-polacca e suo padre, diventato poi orientalista ed etnologo famoso, da sua madre, che non ha esitato a seguire il suo giovane e spiantato innamorato fiorentino, rifiutando il principe che la famiglia le aveva destinato.  Quindi "il viaggio nel sangue, come parte di un DNA segnato dall'inquietudine motoria e dalla curiosità geografica" (pag. 14). E poi anche il viaggio come narrazione a se stessi e agli altri.
Nel romanzo epistolare, Dolce per sé, troviamo lettere di una donna adulta a una ragazzina che raccontano un amore, le sue ragioni, le sue gioie, la sua fine. Con un ritmo musicale e la dolcezza del titolo che si ritrova un po' in tutte le pagine e nella descrizione del saluto alla sorella morta. Questa scrittrice racconta e si racconta ma mette altresì in guardia chi legge perché nel romanzo, afferma, c'è sempre invenzione. 
Protagonista de Il treno dell'ultima notte è la giornalista Amara a cui è assegnato un réportage sulle condizioni di vita nei Paesi europei dell'Est, dopo la fine del secondo conflitto che ne ha ridisegnato i confini. All'incarico ufficiale, Amara affianca e privilegia la sua personale ricerca di un amico d'infanzia di cui ha perso le tracce perché caduto nel gorgo dell'Olocausto. La vicenda si incrocia con i fatti d'Ungheria ma Amara, assorbita dal suo interesse primario, si lascia sfuggire lo scoop giornalistico e viene licenziata. L'autrice riflette qui su come la guerra cambi gli individui e niente risulti più lo stesso dopo un'esperienza di dolore.
Nel libro Amata scrittura Dacia si rivolge a scrittrici, scrittori e personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura interrogandoli sugli aspetti della scrittura, della lettura, delle ragioni e della passione di scrivere, del ritmo, dello stile. Lei sostiene di scrivere per dare "una testimonianza delicata, un gesto di affetto nei riguardi di una memoria che se ne va e muore anzitempo" (pag. 5) e anche perché "noi siamo chiusi dentro una vita limitata, prevedibile [...] i romanzi danno la possibilità di attraversare altre esistenze, altri panorami, calzando altre scarpe, annusando altri odori, in un tempo che non ci appartiene". Per lei la scrittura è artificio, richiede abilità, applicazione, conoscenze e rimane sempre un "difficile e dolcissimo enigma".
Mi piace anche ricordare la sua posizione equilibrata nei confronti degli uomini, come è stato per altre scrittrici che amo, Virginia Woolf, Doris Lessing, per esempio.
"La dolcezza, non c'è dubbio, è il carattere che più m'incanta in un uomo. Qualcuno pensa che la dolcezza sia una qualità tipica delle donne e quindi non augurabile per un uomo. Nella testa di costoro la dolcezza è sinonimo di debolezza, quindi desiderare un uomo dolce significherebbe volerlo debole, fiacco, passivo. Ma sono idiozie. Perché la forza si accompagna sempre a una forma di serenità e dolcezza. Solo gli uomini fragili, impauriti, sono aggressivi, violenti, prepotenti e assertivi. Un uomo non nevrotico né infelice sarà aperto agli altri, disponibile, gentile, e se vorrà affermarsi lo farà attraverso la conquista del prestigio e non attraverso l'imposizione e la brutalità" (Dolce per sé, pagg. 181-182).
La vacanza, Lerici, 1962 (sono reperibili edizioni successive di Bompiani ed Einaudi).
Tre donne, Rizzoli, 2017.
La mia vita, le mie battaglie, con Joseph Farrell, Della Porta Editori, 2015.
Bagheria, Rizzoli, 1993.
La lunga vita di Marianna Ucrìa, Rizzoli, 1990.
La nave per Kobe, Rizzoli, 2001.
La grande festa, Rizzoli, 2011.
Isolina. La donna tagliata a pezzi, Rizzoli, 1992.
Buio, Rizzoli, 1999.
La seduzione dell'altrove, Rizzoli, 2010.
Dolce per sé, Rizzoli, 1997.
Il treno dell'ultima notte, Rizzoli, 2008.
Amata scrittura. Laboratorio di analisi, letture, proposte, conversazioni, a cura di Viviana Rosi e Maria Pia Simonetti, Rizzoli, 2000.


pubblicato su






Nessun commento:

Posta un commento