Donne che fuggono nella notte o alle prime luci dell'alba, in Raccontami tu, di Maristella Lippolis. Non hanno un piano preciso per sottrarsi alla violenza o allo sfruttamento, piuttosto un sogno di libertà che si è annidato nella mente e ha nutrito le loro azioni di gesti apparentemente sicuri, ma chi può stare tranquillo? Non loro, guidate solo da un istinto protettivo verso le creature disarmate che trascinano nella loro impresa.
Una scappa per mettere centinaia di chilometri di distanza da un uomo che l'ha segnata nel corpo e nello spirito, scappa con la sua bimba, un fagottino addormentato sul sedile accanto a lei, guida concentrata, lottando con il sonno, sull'autostrada come un nastro d'asfalto, senza osare superare la fila interminabile dei camion, dalla Liguria a Pescara, deve farcela, non può fermarsi.
Un'altra deve decidere in fretta, in una città che non conosce neppure, fuori da quell'appartamento in cui è prigioniera, cambiare aspetto per far perdere le sue tracce, svegliare e convincere alla fuga quell'inerme adolescente, prima che sia troppo tardi, prima che le facciano altro male. «Il lungo addestramento a guardarsi agire dal di fuori, come se quella non fosse lei ma un'altra di cui osservava la vita con indifferenza, l'ha protetta quando era esposta per strada, e adesso le impedisce di pensare con angoscia alla propria situazione. È arrivata fin qui, se la caverà, finora se l'è sempre cavata». Sorretta da una fiducia impensabile, mette in sicurezza la ragazzina e si affida all'unica persona, fuori dall'organizzazione che, forse, potrebbe aiutarla.
Donne in difficoltà che si
incontrano perché i loro percorsi sono stranamente intrecciati, ma soprattutto
perché sono solidali, fiutano e riconoscono la paura dell'altra e si aiutano.
Colgono quella luce negli occhi che fa
cadere le difese, fa svelare da dove vengono, che cosa rincorrono, mette a nudo
la solitudine a cui il dialogo con un'altra donna giunge come una medicina, una
pozione che scalda il corpo e fa intravedere una qualche soluzione. «È abituata ad ascoltare le storie degli
altri, e non sono mai facili, ma questa l'ha colpita in maniera diversa [...]Di
solito le storie che ascolta la sfiorano, le entrano in testa e poi si
allontanano, finiscono nell'archivio delle vite che aspettano una soluzione e
quasi mai è compito suo trovarne una. Ma questa, questa sta trovando
velocemente una saldatura dentro di lei, e Valentina sente che diventerà uno
dei suoi pensieri quotidiani». Sono donne che non esitano a violare tutte
le regole, a mettersi in contrasto con i colleghi, con i compagni, a rovinare
vacanze per inseguire un'idea che potrebbe rivelarsi salvifica.
Donne che scrivono lettere,
ma solo nella loro mente, «ti sto scrivendo
questa lettera nella mia testa perché ho bisogno di parlare con qualcuno anche
solo per finta, altrimenti non riesco a capire se questa vita mi sta davvero
accadendo». Scrivono perché non possono fare altrimenti, ma troppo
difficile raccontare quello che succede, il lavoro umiliante, l'isolamento,
meglio far credere una pietosa bugia di raggiunto benessere. «Cara sorella, ecco qui un'altra lettera che
ti scrivo solo nella mia mente, come le altre. Ma questa volta non mi serve per
fare finta di parlare con qualcuno e mettere tutti i miei pensieri in fila, ma
per prepararmi a parlarti davvero.[...] Chissà se è questa, alla fine, la
libertà, questo camminare da sola senza preoccuparsi che qualcuno ti riconosca».
Donne generose che
condividono casa, abiti e progetti di
vita, individuano risorse tra i problemi delle altre, se ne fanno carico per
un'esistenza con un ordine nuovo, rispondente a desideri archiviati, in bilico
tra novità e tradizione, natura e affetti. "Naturalmente a casa di Alice",
si chiamerà il "posto", «mancava
il nome, e quindi un'identità» e «i
nomi devono corrispondere alle cose», e questa è proprio "casa"
di Alice, un luogo che le somiglia, pensato per poter leggere e riflettere
insieme sul cibo, sulla vita, arredato in
modo gioioso, completo di belle tazze per sorseggiare tè e tisane.
Sono tante le donne in
dialogo costante, reale o immaginario, con ruoli, età e condizione diverse che
Maristella Lippolis fa sfilare, vibrare e parlare nel suo libro, il cui esergo
è tratto da La mia Africa di Karen
Blixen «Quando il disegno della mia vita
sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?*», che Adriana
Cavarero, in un suo saggio, riscrive così «il
percorso di ogni vita si lascia alla fine guardare come un disegno che ha
senso?[...]C'è un'etica del dono nel piacere del narratore. Chi narra non solo
intrattiene e incanta, come Sheherazade, ma regala ai protagonisti delle sue
storie la loro cicogna». Il racconto di Caterina, Valentina, Marta, Dina,
Alice, Bianca, Alma, Maria diventa trama, intreccio, relazione, un invito alla
sorellanza, o un dolce ma determinato manifesto programmatico: insieme possiamo
farcela, possiamo passare dal desiderio al disegno.
Raccontami tu, Maristella Lippolis, L'Iguana Editrice, 2017.
Raccontami tu,
Maristella Lippolis, L'Iguana Editrice, 2017.
Tu che mi guardi, tu che mi
racconti. Filosofia della narrazione, Adriana Cavarero,
Feltrinelli, 1997.
*Le grafie della cicogna. La scrittura delle donne come ri-velazione
è stato un convegno del 2010 promosso dal Forum d'Ateneo per le politiche e gli
studi di genere dell'Università di Padova, coordinato da Saveria Chemotti,
Adriana Cavarero vi tenne la lectio
magistralis proprio su Il desiderio
di racconto.
pubblicato su
Leggere Donna n°178/2018
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