L’Arminuta, la ritornata, è una bambina di
tredici anni che arriva-ritorna nella sua cosiddetta famiglia con una grossa valigia e un grumo di sconforto che le attanaglia il cuore. I genitori che l’hanno
concepita, per una sorta di analfabetismo affettivo, l’hanno affidata a una
cugina, con la promessa, poi disattesa, di mantenere un rapporto di qualche
tipo. Senza andare troppo lontano e scandalizzarsi come fosse cosa d’altri
tempi e d’altri luoghi e culture, fino a qualche decennio fa era uso abbastanza
comune “cedere” un proprio figlio o figlia, se indigenti, a una famiglia più
abbiente che se ne volesse occupare. Una pratica che non era sconosciuta nelle
campagne e nelle periferie povere del nostro Paese.
«Nel mese dello svezzamento le due famiglie si erano
spartite la mia vita a parole, senza accordi precisi, senza chiedersi quanto
avrei pagato la loro vaghezza».
È la storia che narra Donatella Di Pietrantonio nel
romanzo che si è guadagnato il Premio Campiello 2017, L’Arminuta, inchiodando chi legge alle pagine, perché scritto in una lingua speciale, fatta di carne e sangue.
La carne di una bambina che soffre un doppio abbandono, il sangue-dolore di chi
deve rinunciare, senza alcuna spiegazione, ai suoi affetti, alle sue amicizie, alle
abitudini fatte di norme e piaceri per essere scaraventata in una famiglia
estranea, in una casa affollata e povera, senza neppure un letto tutto suo, circondata da sconosciuti che dicono
essere suoi fratelli e genitori, senza
volerlo, senza volerla. Solo Adriana, sorella
inaspettata e generosa, la protegge e le insegna a muoversi in quell’inspiegabile
fiume di emozioni in cui è stata gettata.
«Ogni sera mi prestava una pianta
del piede da tenere sulla guancia. Non avevo altro, in quel buio popolato di
fiati».
Solo dopo molto tempo riesce a
capire perché la madre adottiva l’ha "restituita" e il motivo non salda la
ferita, la riapre in un turbine di domande senza risposta. È un libro che fa
riflettere sul senso stesso di adozione, prevalentemente vissuto come risposta
a un bisogno di genitorialità, senza considerare l’altro soggetto: la creatura,
la vita in gioco di una bambina, un bambino che non può essere rimandato indietro,
come posta indesiderata, come una maglia troppo stretta.
«Non l’ho mai chiamata, per anni.
Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia
gola come un rospo che non è più saltato fuori».
Eppure questa madre, con i suoi
limiti, risulta meno crudele dell’altra. Leggere per scoprire come abbandono,
sorellanza, resilienza si fondono in un libro di cui non ci si dimentica
facilmente.
L’Arminuta, Donatella Di Pietrantonio,
Einaudi, 2017.
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