Quentin Blake per Mathilda di Rohald Dahl

domenica 10 settembre 2017

L'Arminuta




L’Arminuta, la ritornata, è una bambina di tredici anni che arriva-ritorna nella sua cosiddetta famiglia con una grossa valigia e un grumo di sconforto che le attanaglia il cuore. I genitori che l’hanno concepita, per una sorta di analfabetismo affettivo, l’hanno affidata a una cugina, con la promessa, poi disattesa, di mantenere un rapporto di qualche tipo. Senza andare troppo lontano e scandalizzarsi come fosse cosa d’altri tempi e d’altri luoghi e culture, fino a qualche decennio fa era uso abbastanza comune “cedere” un proprio figlio o figlia, se indigenti, a una famiglia più abbiente che se ne volesse occupare. Una pratica che non era sconosciuta nelle campagne e nelle periferie povere del nostro Paese.
«Nel mese dello svezzamento le due famiglie si erano spartite la mia vita a parole, senza accordi precisi, senza chiedersi quanto avrei pagato la loro vaghezza».
È la storia che narra Donatella Di Pietrantonio nel romanzo che si è guadagnato il Premio Campiello 2017, L’Arminuta, inchiodando chi legge alle pagine, perché scritto in una lingua speciale, fatta di carne e sangue. La carne di una bambina che soffre un doppio abbandono, il sangue-dolore di chi deve rinunciare, senza alcuna spiegazione, ai suoi affetti, alle sue amicizie, alle abitudini fatte di norme e piaceri per essere scaraventata in una famiglia estranea, in una casa affollata e povera, senza neppure un letto tutto suo, circondata da sconosciuti che dicono essere suoi  fratelli e genitori, senza volerlo, senza volerla. Solo Adriana, sorella inaspettata e generosa, la protegge e le insegna a muoversi in quell’inspiegabile fiume di emozioni in cui è stata gettata.
«Ogni sera mi prestava una pianta del piede da tenere sulla guancia. Non avevo altro, in quel buio popolato di fiati».
Solo dopo molto tempo riesce a capire perché la madre adottiva l’ha "restituita" e il motivo non salda la ferita, la riapre in un turbine di domande senza risposta. È un libro che fa riflettere sul senso stesso di adozione, prevalentemente vissuto come risposta a un bisogno di genitorialità, senza considerare l’altro soggetto: la creatura, la vita in gioco di una bambina, un bambino che non può essere rimandato indietro, come posta indesiderata, come una maglia troppo stretta.
«Non l’ho mai chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori».
Eppure questa madre, con i suoi limiti, risulta meno crudele dell’altra. Leggere per scoprire come abbandono, sorellanza, resilienza si fondono in un libro di cui non ci si dimentica facilmente.

L’Arminuta, Donatella Di Pietrantonio, Einaudi, 2017.

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