La Grande Siria, che comprendeva fino al 1946 anche Libano, Palestina, Israele e Giordania, è il teatro del romanzo Damasco, di Suad Amiry. Con un respiro temporale che va dal 1926 ai giorni nostri, presenta un affresco umano e ambientale che ci porta lontano dalla situazione devastante e devastata della Siria come appare oggi. Al contrario, si entra e respira nel tranquillo palazzo signorile della famiglia Baroudi, nel cuore di Damasco, una casa protetta da «un gigantesco portone» che precludeva agli estranei «le vicende, gli accordi commerciali, i segreti e gli scandali che avevano avuto luogo nei numerosi angoli di quella casa, negli spazi aperti e in quelli al chiuso». E gli esterni di fango «rendevano impossibile immaginare il tipo di ricchezza e di splendore che si celava dietro mura tanto alte e impenetrabili».
Teta
sposò Jiddo a soli quattordici anni. Lui, di vent'anni più grande,
rappresentava un ottimo partito perché appartenente a una facoltosa famiglia di
mercanti. Ancora bambina, lasciò il suo villaggio in Palestina, Arrabeh, per
stabilirsi nella casa di Damasco, modulata sui ritmi e le regole imposte dalle
sorelle nubili di Jiddo. Come prevedeva la tradizione, il ritorno al villaggio
della sposa era possibile solo dopo aver onorato il marito, e la sua famiglia,
di un figlio maschio. Per Teta, questo momento avvenne trent'anni dopo il
matrimonio, con quindici gravidanze sostenute e cinque figlie e tre figli
sopravvissuti. Particolari che inducono una certa tristezza, seppure inseriti
in un contesto di sottomissione totale al marito richiesto dalle consuetudini
del tempo a tutte le donne indistintamente.
Eppure,
nella grande e ricca casa damascena, risuonavano anche grida festose, fiorivano
i pettegolezzi, si intrecciavano i percorsi di vita di innumerevoli persone e i
giorni scorrevano con un ritmo
malinconicamente accettabile per Teta e gli altri, movimentati dai grandi
raduni familiari previsti immancabilmente il venerdì. Alla «Grande Bouffe»
partecipava tutta la famiglia, rispettando un preciso ordine di arrivo e un
altrettanto preciso cerimoniale di saluti. Raduni che continuarono fino alla
morte di Jiddo, vissuto quasi cent'anni, quando la famiglia si sgretolò e
prevalsero interessi personali rimasti sopiti per anni. Non cambiava mai nulla
in quelle feste, tranne il menu che comprendeva sempre diversi piatti
principali e un numero incalcolabile di antipasti, risultato di «un'accurata
organizzazione e un notevole sforzo».
Suad
Amiry, nipote di Teta e Jiddo, afferma
di aver scritto la storia della sua famiglia su pressione del suo editor, e sembra scusarsi per le
«inevitabili incongruenze: memoria affettiva e ricordi d'infanzia non possono
che essere pieni di contraddizioni, smagliature, buchi». Ma proprio insinuarsi
in questi buchi permette di immaginare, o sognare, i tradimenti, gli intrighi,
i matrimoni combinati e sofferti e le innumerevoli emozionanti storie che
tessono la trama del romanzo.
Damasco, Suad Amiry, cura e traduzione
dall'inglese di Maria Nadotti, Feltrinelli 2016.
Suad Amiry è un'architetta
palestinese, nata a Damasco, risiede a Ramallah ed è impegnata sul fronte della
conservazione del patrimonio architettonico del suo Paese. Ha già pubblicato
altri volumi per Feltrinelli, sempre con la pregevole traduzione di Maria
Nadotti.
Questo testo, corredato di splendide immagini scelte da Fernanda Ferraresso, è già comparso sul blog
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