La
bicicletta arranca sul ponte leggermente in salita, mentre la lana della
sciarpa pizzica la faccia prima di proteggerla e la nebbia è talmente
densa che sembra di attraversare una
nuvola.
Margherita
sa che il tratto di strada più difficile è proprio questo, con la fatica di pedalare nel freddo, vedendo
poco o nulla, tenendo saldo il manubrio
per non perdersi, ma basterà
arrivare alla fine del ponte e poi, lungo il Po, le sagome alte degli alberi segneranno la
strada fino al crocevia, quindi a destra, ancora una breve salita e infine la
fabbrica, grigia come la nebbia.
Nebbia,
fatica, freddo non sono nei suoi
pensieri: stanno per tornare a casa i
ragazzi per le vacanze di Natale e lei
vuole che tutto sia pronto per accoglierli.
Solo pensieri lieti le si
affollano in mente, tanto ha sofferto la loro mancanza.
Pedala
Margherita, pedala sennò arrivi in ritardo.
Ieri
si è fatta aiutare dal Vasio a liberare una cameretta e oggi viene un
lattoniere per realizzare un bagno, così i ragazzi non saranno più costretti ad
andare fuori, sul balcone; abituati come sono, in collegio, non accettano le
scomodità della casa come un fatto naturale, come per lei, che tra quelle
camere è nata ed è già contenta di averle conservate, nonostante la guerra. Allora,
ecco la decisione di usare tutti i risparmi di un anno per questo cambiamento,
cercherà poi di far bastare la provvista di legna e carbone coke per
tutto l’inverno, senza neanche immaginare altre spese.
L’ultima
volta che i ragazzi sono stati con lei, ha visto
nell’espressione di Camilla un moto di insofferenza, per le condizioni della
casa di ringhiera, una reazione ancora più dolorosa perché si celava dietro uno
sguardo gentile, quasi pietoso, e Margherita ne aveva sofferto. Eppure, per
aprire loro una strada diversa, bisogna
correre il rischio di perderli, i ragazzi, aumentando la distanza tra noi e
loro, accettando persino di essere giudicati ignoranti e rozzi, per quanto sia doloroso.
Ma
non è questo che importa, pensa Margherita. La cosa più bella, che
scalda il cuore, è ritrovarsi insieme, la mattina di Natale, fingere sorpresa
nello scoprire le calze, appese al letto, ripiene
di mandarini e fichi secchi… Che festa!
L’ultima
pedalata, scende dalla bici e la mette sulla rastrelliera, sotto al cartello
“DONNE”.
-
Il Cicotu sta male, è all’ospedale, e
la tua tosse come va, Margherita?
-
Mi fa compagnia, sempre uguale e tu, Iole,
hai portato almeno un fazzoletto? Speriamo che diano qualche giorno di mutua al
Cicotu.
-
Ma figurati, proprio quelle belle teste dell'amministrazione! Con tutti quelli che aspettano un posto, qui, sai com’è, la mutua è l'ultimo pensiero, conta solo la produzione. E
finiscila con la storia del fazzoletto – aggiunge ridendo - cosa vuoi che
facciano i nostri fazzoletti, lì dentro, o i nostri guanti di lana, ci vorrebbe…
uno scudo, contro quella polvere! –
conclude Iole prendendo la sua amica sottobraccio e
leste si avviano all’interno del
cortile, dove si apre la guardiola d’ingresso allo stabilimento e agli uffici.
Non
sono ancora arrivate che esce il guardiano, uno del loro quartiere, con cui Margherita ha frequentato la scuola elementare; tornato dalla guerra senza un braccio, ha
subito ottenuto un posto nell’azienda. Non vuole essere cattivo con quelle due
donne, Margherita poi, la conosce da sempre, ma deve controllare gli ingressi.
-
Avete cinque minuti di ritardo, dovete
recuperarli. – sottolinea puntigliosamente.
-
Sì, sì, li recuperiamo, stai tranquillo, non
ci hanno mai ridotto la paga, a noi, ma almeno tu stai al caldo, dai, vai
dentro. – aggiunge Margherita con un
sorriso, mentre si avviano al loro capannone.
Come
altre donne, anche loro sono addette alla produzione delle lastre ondulate, è
un prodotto nuovo che viene usato nei
cantieri. E di cantieri ce ne sono
dappertutto, ogni giorno ne aprono uno, in città e fuori, c’è un Paese da ricostruire, la guerra è
finita da cinque anni ma la vera ricostruzione comincia solo ora.
Servono
materiali e risorse umane, perciò vanno bene anche le donne, come in tempo di guerra.
Il
materiale che produce l’azienda è molto richiesto per le sue caratteristiche di
duttilità, economicità e durata; permette di abbreviare i tempi di
costruzione, è facilmente trasportabile, ha un gradevole colore azzurrino.
Sembra
utile ed innocuo.
La
fabbrica lavora a pieno ritmo, aumenta le linee di produzione ed i turni degli
operai per soddisfare la domanda crescente del mercato, offre occupazione e
servizi alla cittadinanza e la città la
coccola, questa sua fabbrica, se la tiene stretta, è sinonimo di modernità e
benessere. Ci sono le colonie estive per
i ragazzi e il gioco delle bocce per i pensionati, i figli desiderano prendere il posto dei padri che
vanno in pensione, perché garantisce un
impiego sicuro. Margherita stessa non sa spiegarsi la grande fortuna di avere un salario assicurato e, per questo motivo, non manca di ringraziare il
Signore, ad ogni prima messa domenicale nella Parrocchia di S. Ilario.
Sembra
ci siano problemi di salute, qualcosa
alla pleura, ma chi può dire sia proprio la fabbrica?
-
Dai che cominciamo, mettiti i guanti Iole.
-
Sì, e tu il tuo benedetto fazzoletto!
Iole
è triste, il suo Toni è a militare, non le scrive neanche e lei ha paura di perderlo, così lavora
distrattamente. Margherita la sorveglia da lontano, con apprensione, perché non
è abbastanza attenta e ci vuole ritmo per prendere le lastre e accatastarle ad
una certa altezza. Ma non si può parlare perché anche qui c’è nebbia, più fitta
e cattiva di quella del ponte, fatta di
polvere che entra nella bocca e negli occhi, punge e brucia.
Margherita
si annoda un fazzoletto sul viso, lasciando scoperti solo gli occhi e comincia
a lavorare, come le altre donne, al
suono metallico del campanello d’ inizio turno.
Fuori,
la città sta ancora dormendo nella nebbia.
A un certo punto, Iole non è abbastanza veloce nel prendere la lastra e
depositarla, con una leggera torsione, sul mucchio predisposto. Margherita la
vede dalla sua linea, lancia un avvertimento, Iole la guarda distrattamente,
persa nei suoi pensieri, la lastra arriva puntuale, senza guida, sul suo
fianco. Si sente l’urlo di dolore della
ragazza nella polverina grigioazzurra dell’aria.
-
Fermate la linea, fermate la linea –
Margherita urla e, dopo una manciata di secondi che sembrano ore, il suono ripetuto del
campanello dà l’avviso di fermata.
Le
donne del settore si precipitano a soccorrere la ragazza a terra, svenuta e colpita al fianco, c’è sangue sul
letto di polvere del pavimento.
-
Dovete stare più attente, ma dove avete la
testa, voi? Donne!
Il capetto di turno, uno di quelli sempre
pronti a schierarsi con l’azienda, si avventa su Margherita, allontanandola dal
luogo dell’incidente.
Margherita
si offre per accompagnarla all’ospedale, Iole non ha più nessuno in famiglia,
sua madre è morta dopo la guerra, il fratello finito in Albania, il padre…
-
Non fare il disgraziato, lasciami stare con
lei, deve avere qualcuno quando si sveglia, altrimenti va giù di morale.
-
Vai a lavorare, tu, che adesso riattacchiamo
la linea, pensa agli affari tuoi, è un normale infortunio, non è mica morto
nessuno. Anche voi, cosa state qui a
guardare? Riprendete i vostri posti!
Alza
la voce il capetto, sa che può
esercitare un suo piccolo potere su queste donne, soprattutto adesso che sono
spaventate. Le allontana con la mano e
anche Margherita, tra loro.
Dopo
l’arrivo dell’ambulanza, la linea riprende il suo rumore e il lavoro continua .
Mentre
si rialza il fazzoletto, già rigido e impregnato di polvere, i pensieri di
Margherita vanno tutti alla povera Iole, vorrebbe raggiungerla alla fine del
turno, ma no, non sarà possibile. La zia Rusin, inferma com’è, se non la
vede arrivare subito a casa, pensa al peggio, poi c’è il lattoniere da seguire, dovrà aspettare fino a sera, anche se farà freddo, per
arrivare all’Ospedale S. Spirito e portare qualche conforto all’amica.
Il
tempo scorre mentre le operaie addette alla produzione delle lastre ondulate si
scambiano occhiate furtive e preoccupate, tra colpi di tosse, soffiate di naso,
occhi che piangono.
Sirena,
fine turno.
Anche
la città sente la sirena e adegua i suoi ritmi ad essa. Al familiare suono, nelle case si butta la pasta
perché gli operai non tarderanno ad arrivare per la pausa pranzo, si regolano
gli orologi, si scandisce la quotidianità.
Sul
ponte, si crea una fila interminabile di
biciclette e anche Margherita è di nuovo sul ponte e la nebbia del mattino si è
dileguata, sostituita da un venticello inaspettato, per la stagione. Un vento
che ha liberato il cielo, e ora, sul fiume, si vedono le dolci colline intorno
la città, e la vista arriva lontano, fino alle montagne innevate,
bellissime.
Ma
il vento trasporta anche la polvere della fabbrica e
così questa si deposita sui davanzali, sui
tetti, entra dalle finestre aperte per arieggiare le camere e, molto
democraticamente, si distribuisce sulle case della periferia e del centro
storico, contaminando persone e ambienti
di ogni ceto sociale.
La
polvere è sempre grigia, ma questa, come dicono tutti, in città, è cattiva.
E’
composta da fibre milletrecento volte più fini di un capello, furtiva si
inserisce negli alveoli polmonari, si
annida e staziona lì anche per decenni, prima di manifestarsi, inesorabilmente.
Dovranno
ancora passare quasi quarant’anni perché lo stabilimento venga chiuso e il
materiale prodotto sia riconosciuto altamente nocivo.
Oggi, a più di trent’anni dalla chiusura dello
stabilimento e oltre due decenni dalla promulgazione della legge che vieta l’impiego del
prodotto, i cittadini di questo angolo di Paese aspettano ancora una quieta parola
conclusiva di giustizia.
Non
lo sai tu, Margherita, e non lo sa la città intera.
Questa
è ancora un’altra stagione e tanti operai, operaie e persone che non hanno mai
avuto nulla in comune con la fabbrica ci lasceranno, prima che il problema arrivi ad interessare i politici, l’opinione
pubblica, i decisori a qualsivoglia livello.
Pedala,
Margherita, la tua giornata è ancora lunga. Devi arrivare a casa,
tranquillizzare la zia Rusin, riordinare, poi correre in ospedale dalla
Iole, se non vai tu, chi vuoi che vada, sola com’è.
Ah,
questa tosse, che fastidio, come brucia la gola.
Pedala,
Margherita, pedala, non badare alla tosse, alla polvere, alla nebbia, domani arriveranno i
ragazzi!
Brava Laura,
RispondiEliminaho pianto leggendo il tuo racconto...
Quanto dolore, quanto sgomento per le vittime dell'amianto e i loro familiari..
Quanto tempo sarà ancora necessario perchè abbiano giustizia?
Un abbraccio a te e a tutta Casale Monferrato.
Manuela
Grazie, Manuelina, è una ferita che rimane aperta, ma la solidarietà aiuta la speranza.
Eliminaun racconto commuovente, grazie Luradeilibri
RispondiEliminaGrazie a te, anonimo/a lettore/lettrice per aver letto il racconto: è ispirato ad una storia vera, come vera è stata Margherita, che ci ha lasciati tanti anni fa.
RispondiEliminaIl picco della malattia mesotelioma si prevede che colpisca tra il 2015 e il 2020, non ci sono cure mediche né, purtroppo, giustizia alcuna.