Il
percorso a ostacoli della procreazione assistita, tra pregiudizi e leggi avverse, è raccontato con nomi e cognomi nel saggio di
Margherita Fronte, dall'antichità ai giorni nostri, in cui scopriamo la tenacia
di alcuni ricercatori e l'eterna sofferta pazienza delle donne.
Dal
1600 le conoscenze scientifiche progredirono, ma l'autrice ricorda che si ignorava, ancora a inizio Novecento, l'abc
della riproduzione. Basti pensare che si riteneva la donna fertile durante il
periodo mestruale e che nell'Ottocento fosse diffusa la teoria secondo cui un
"omino" perfettamente formato fosse presente negli spermatozoi e la
gestazione nel ventre femminile servisse solo a farlo crescere.
Era la
teoria del Preformismo, contrapposta all'Epigenesi, e di quest'ultima parla già
Aristotele, a torto o a ragione considerato il precursore dell'embriologia
sperimentale. Com'è risaputo, assegnava al maschio la causa efficiente e al
sangue mestruale la causa materiale, asserendo che l'embrione si sviluppava
progressivamente a partire dal concepimento, situato a una settimana
dall'inizio della mestruazione. Fedele alla sua opinione sulle donne affermava
poi che "l'anima razionale" si innestava a quaranta giorni, se
maschio, a novanta se donna, ragion per cui l'aborto era consentito solo nei
primi quaranta giorni, dopo era considerato un crimine.
Questa
visione potrebbe far sorridere, eppure la condivisero persino molti teorici
cattolici dei secoli seguenti, fino al 1859 quando Papa Pio IX decretò la
sacralità della vita a partire dal concepimento. Almeno fino al Seicento la
teoria aristotelica ebbe ampio seguito, in seguito si aggiunsero gli Ovisti,
convinti che "l'esserino" si trovasse nella cellula uovo. La disputa tra esponenti di Preformismo, Epigenesi
e Ovismo continuò a lungo e solo con importanti scoperte scientifiche si arrivò
a una sintesi accettabile, ma ci vollero le osservazioni al microscopio, che
segnarono il progresso della teoria cellulare, gli studi su embrioni di cani,
uccelli, vermi, conigli e l'importante scoperta del numero costante di
cromosomi per ciascuna specie e infine l'unione della cellula uovo e dello
spermatozoo con la fusione dei due nuclei.
Molti
scienziati si adoperarono per spiegare la formazione della vita, ma fino agli
anni Settanta del Novecento gli embriologi non si interessarono troppo alle
coppie che non potevano avere figli, piuttosto si ponevano il problema di
capire le malformazioni e le anomalie dello sviluppo embrionale. Tuttavia si
conosce più di un caso che originò una gravidanza, come quello istruito da John
Hunter nel 1776, in cui a un uomo, affetto da malformazione al pene, lo scienziato
ingiunse di iniettare sperma alla moglie, con
una siringa calda, subito dopo il rapporto sessuale.
Anche
in Francia si cominciò a compiere ricerche sulla fecondazione artificiale a
partire dall'Ottocento, ma chi aprì la strada con i progressi più significativi
fu J. Marion Sims (1813 - 1884) considerato il padre della ginecologia
statunitense. Se si osserva la sua statua in Central Park, a New York, giova
ricordare che fu un convinto schiavista e sperimentò procedure chirurgiche su
donne nere, negando loro l'anestesia. Anche quando praticò su sei donne
l'inseminazione artificiale fu particolarmente indelicato con loro. Va detto, a
sua parziale discolpa, che almeno
prospettò come la sterilità non dipendesse unicamente dalla donna, anche se era
fermamente contrario alla donazione del seme. Invece nel 1884 William Pancoast
realizzò disinvoltamente una donazione esterna all'insaputa della paziente, a
opera di un suo studente, e fu quest'ultimo a rivelarne la notizia, alla morte
del medico.
Nel
1932 era stato pubblicato Il mondo nuovo,
di Aldous Huxley, che ipotizzava per tutti l'inseminazione artificiale, la conseguente eliminazione dei rapporti di
coppia, la gestazione in incubatori e persone prodotte in serie per garantire
ordine alla società. L'impatto dell'opera sulla ricerca scientifica fu enorme. Tuttavia,
tra verità non dette e interventi semi clandestini, stava prendendo piede la
procreazione assistita, ma restava un tabù e le donne vi ricorrevano in totale
discrezione. La reticenza dei medici non rispecchiava la realtà anche se la
nuova pratica di fecondazione restava un tema controverso e media e
associazioni mediche erano apertamente contrarie.
In
Italia, tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60, il medico Daniele
Petrucci, collaborando con la ricercatrice Laura De Pauli Santandrea
all'Ospedale S. Orsola di Bologna, aveva escogitato una "camera
nuziale" in cui incubava ovuli e spermatozoi riuscendo a mantenerli in
vita più di un mese. Quando espose i suoi studi a un convegno a Glasgow lo
sommersero di critiche e non gli permisero neppure di terminare l'intervento.
Costretto dall'ostracismo in patria, mentre L'Oservatore
Romano gridava al sacrilegio, si rifugiò nell'allora Unione Sovietica e morì
nel 1973.
Intanto
cresceva il clamore mediatico delle ricerche del biologo Robert Edwards (Premio
Nobel 2010) e del ginecologo Patrick Steptoe. Tra gli ostacoli di ogni tipo da
affrontare, fra cui la cronica mancanza di fondi, dovevano anche risolvere il
problema della "capacitazione", ossia i mutamenti necessari agli
spermatozoi per fecondare la cellula uovo. Eppure, nel 1978 nacque Louise
Brown, definita "la prima bambina in provetta". I suoi inconsapevoli
genitori si erano affidati con una discreta leggerezza ai due scienziati, ma si
accorsero presto che potevano trarne vantaggio
cedendo l'esclusiva della storia al Daily
Mail.
Alla
nascita della bambina la notizia si sparse in tutto il mondo e l'Italia,
fortemente influenzata dalla morale cattolica, si fece sentire tuonando persino
dalle colonne de L'Unità e di la Repubblica. Il dibattito che ne
seguì, a livello mondiale, risentiva delle paure circa il timore
dell'insorgenza di malformazioni frequenti nei concepimenti in provetta. A
dissolvere i dubbi in tal senso concorse il rapporto dei francesi Jean Cohen e
Marie-Jeanne Mayaux, secondo il quale il tasso era del 2,5 per cento, identico
a quello dei concepimenti naturali.
Di
problemi etici si discuteva molto in Gran Bretagna, Australia, Francia, Stati
Uniti e Germania, e così pure dell'esito degli embrioni non utilizzati. Sorsero
ovunque comitati etici per la definizione di protocolli e il focus del discorso
lentamente si spostò dall'inseminazione artificiale, alla fecondazione in vitro
e poi alla vita e sopravvivenza dell'embrione. In mancanza di una legislazione
chiara si dovevano fronteggiare i problemi del turismo procreativo e della
gravidanza per altri, mentre venivano evocati il fantasma dell'eugenetica e lo
spettro della clonazione poiché la tecnica era già disponibile, come dimostrava
la nascita dellapecora Dolly del 1997.
Intanto
cresceva il numero di coppie ansiose di ricorrere alla fecondazione in vitro,
nonostante il peso mediatico degli antiabortisti e la posizione della Chiesa di
Roma, contraria alla separazione tra atto sessuale e procreazione e a tutte le
pratiche di contraccezione. Eppure molti cattolici avevano assunto un
atteggiamento pragmatico grazie anche al fatto che l'adozione era permessa e
controllata dalla legge che garantiva la piena genitorialità. Insomma la
fecondazione artificiale veniva ormai considerata una terapia medica come
un'altra.
Concludendo, i paventati scenari catastrofici
non si sono realizzati: niente fabbriche di bambine e bambini da scegliere in
base alle caratteristiche gradite, nessun maggiore controllo dell'uomo sul
corpo della donna e nessun degrado della società imputabile alle tecnologie
riproduttive.
Al contrario, l'autrice sottolinea che: «la
maternità e la paternità hanno mantenuto il significato profondo della
trasmissione amorevole della vita, in qualunque modo esse vengano raggiunte».
Culle di vetro, Margherita Fronte, Enciclopedia delle donne, 2019.
già pubblicato su:
https://vitaminevaganti.com/2020/04/25/invito-alla-lettura-culle-di-vetro/
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