Racconti intensamente narrativi come romanzi brevi, leggibili a più livelli, interrogano e intrattengono. Potrebbe trattarsi di ali è il nuovo libro con cui Emilia Bersabea Cirillo ci provoca, dopo il successo di Non smetto di avere freddo, (Premio Minerva XI edizione). Entrambi de L'Iguana editrice, pregevoli a partire dal disegno di copertina e dalla qualità della carta impiegata, che si fa accarezzare durante la lettura. Anche questo nuovo libro ci porta nella terra antica di Campania dove
"...Il paese è lentamente fuggito da se stesso..." e la città sembra "fatta a pezzi e poi ricomposta secondo un disegno sgraziato. Un terremoto che a giorni compie quarant'anni ha lasciato vistose cicatrici: un marciapiedi tutto buchi, cacca di cane impastata con il tufo, aree edificabili invase da roveti e, dovunque, edifici ricostruiti con un piano in più".
Ci narra storie di donne con un dubbio, un rimpianto, una malattia, che convivono con o in corpi sconosciuti, invecchiati, immensi, e persino finti, di plastica. Corpi che parlano una lingua imperiosa, condizionante eppure le donne vanno oltre la finitezza simbolica del corpo, avvertono una soglia da attraversare, che comporta abbandonarsi, radicarsi oppure buttare all'aria le consuetudini e spiccare il volo, fuggire.
"Ci vuole energia per stare al mondo con i piedi ben piantati per terra e la testa alta, come un albero...".
Le donne di Cirillo sono forti anche quando non lo sanno, "piene di grazia" leggera e specchio di una complessa femminile modernità.
Potrebbe trattarsi di ali, Emilia Bersabea Cirillo, L'Iguana editrice, 2017.
Nessun commento:
Posta un commento