(Come anticipato nel post 8 marzo, segue intervista a Daria Martelli)
Polifonie,
Lei scrive, vuole essere "un commento storico-sociale all'opera e alla
vita di Moderata Fonte”. Perché si è occupata di una donna di quattro secoli
fa?
Un
metodo di indagine storica è quello di prendere le mosse da una fonte,
integrandola con le altre fonti reperibili. Il
merito delle donne di Moderata Fonte, oltre a essere un bellissimo dialogo
cinquecentesco, in una prosa ancora godibile, è un’importante fonte storica
primaria, per la grande quantità di informazioni che fornisce sulla condizione
delle donne nel Cinquecento. Sotto questo aspetto, è un testo prezioso, nella scarsità di fonti
rimaste sulle donne, e inoltre ha il pregio di esprimere il punto di vista
delle donne sulla propria condizione.
Peraltro
lo stesso personaggio di Moderata Fonte, per la vicenda della sua vita e della
sua opera, ha una forte suggestione e una valenza emblematica. In un’epoca
nella quale non si voleva “veder donna virtuosa in altro che nel governo della
casa”, volle realizzarsi nella cultura e nella creazione letteraria. Tuttavia
dovette adeguarsi al ruolo tradizionale di moglie e di madre, e a questo
dovette soccombere, infatti morì all’ennesimo parto, a soli 37 anni di età, un
tipo di morte che ha segnato la condizione femminile fino a tempi recenti.
Straordinari sono la sua lucidità e il suo coraggio intellettuale di
“protofemminista”. La sua opera, esclusa dalla tradizione e condannata alla
dimenticanza, è riemersa negli anni
settanta del Novecento, quando, a distanza di quattro secoli, le donne hanno raccolto il suo messaggio.
Un’Associazione culturale, della quale sono socia fondatrice, ha voluto
intitolarsi a lei, assumendola come
simbolo di tutte le letterate del passato, una cultura femminile
cancellata nella storia tradizionale.
Nella ricerca, le mie motivazioni ovviamente sono quelle di ogni
studioso di storia, anche di quella tradizionale, ossia l’interesse per il
passato, per le vite e le vicende che sono state prima di noi, un prolungamento
del presente in un’altra dimensione temporale. In particolare le mie
motivazioni sono quelle di tante studiose che, dagli anni settanta in poi,
stanno disseppellendo dall’oblio secolare molte donne che furono attive al loro
tempo, rivelando così un’insospettata presenza femminile nella società e nella
cultura del passato.
Quale importanza ha per le donne di oggi la
conoscenza della propria storia?
La
storiografia di genere, un settore della nuova originale “cultura di genere”
che caratterizza il nostro tempo, restituisce anche alle donne un retroterra
storico, culturale e simbolico, quale hanno sempre avuto gli uomini. Alle donne
sono sempre mancate le madri simboliche, mentre gli uomini hanno sempre avuto in
abbondanza i padri simbolici: esempi,
modelli, simboli, che sono necessari all’identità di genere, degli uomini e
delle donne. Per questo la storia di genere è importante soprattutto per le
giovani e dovrebbe essere introdotta nella scuola di ogni ordine e grado.
Nel
Cinquecento c’era modo di sottrarsi o
trasgredire al destino di recluse monache o di recluse mogli?
Nel mio
saggio ho descritto il generale costume prevalente, ma ho colto anche le
differenze nei vari ceti sociali, le eccezioni, le anomalie, i casi
particolari, mostrando una varietà di condizioni femminili, alla quale allude
la metafora musicale del titolo, Polifonie.
Anche nel Cinquecento, come in ogni epoca, nonostante i limiti
imposti loro dal patriarcato dominante, alcune donne riuscivano a trovare spazi
di libertà e il modo di esprimersi e di agire, talvolta con il sostegno di
alcuni uomini anticonformisti, critici verso il costume del tempo. Infatti
troviamo donne fondatrici di importanti istituti di assistenza, donne impegnate
in attività economiche extradomestiche, “dimesse”, che, con una scelta
religiosa, si sottraevano sia alla monacazione sia al matrimonio, cortigiane,
ossia prostitute di alto bordo, che, se non rappresentavano certo
un’emancipazione femminile, tuttavia gestivano liberamente la propria vita,
inoltre letterate, attrici, maestre, editrici, guaritrici e altre. E ci furono
trasgressioni femminili, certo più numerose di quelle conosciute, come la fuga
della giovane Bianca Cappello con il giovane prescelto, rimasta nella memoria
storica per la sorte eccezionale di Bianca, diventata in seguito Granduchessa
di Toscana.
La religione
sembrava offrire una sponda alla tradizione e le leggi non ponevano barriere ai
soprusi. Oggi la situazione sembra cambiata, ma penso ai femminicidi. Che cosa ne pensa?
La condizione femminile si è evoluta, sia pure molto
lentamente, secolo dopo secolo. Peraltro solo dalla fine della seconda guerra
mondiale è in atto il progressivo smantellamento del patriarcato, con le leggi
di parità, che si sono susseguite per attuare l’articolo 3 della Costituzione,
dove viene riconosciuta la parità dei cittadini “senza distinzione di sesso”.
Tuttavia un millenario sistema sociale, economico, culturale, simbolico, quale
è stato il patriarcato, non può scomparire dall’oggi al domani perché è entrata
in vigore una legge. Rimangono molti suoi residui e sopravvivono molti suoi
aspetti culturali. Infatti hanno radici antiche molti fenomeni dei nostri
giorni, la diffusa violenza di genere, l’uso di
immagini degradanti del femminile nella televisione e nella pubblicità, le
difficoltà che le donne incontrano nel lavoro e nelle carriere, la scarsità di
presenze femminili nella politica e nei posti direttivi, l’enorme diffusione
della prostituzione femminile di vari gradi e prezzi, dalle “zoccole” alle
“escort”, nonché gli ostacoli all’educazione sessuale, con le drammatiche conseguenze
degli aborti e delle malattie veneree.
Ritiene che sia ancora opportuno ricordare la ricorrenza dell’Otto Marzo?
L’Otto
Marzo – che è bene chiamare Giornata Internazionale della Donna, piuttosto che
Festa della Donna, dal momento che c’è poco da festeggiare – rammenta a tutte e
a tutti l’impegno per la parità di genere, la parità non solo formale, ma
sostanziale, che è ancora lontana: questo impegno peraltro deve durare tutto
l’anno. Inoltre questa Giornata richiama le donne al senso della propria
identità di genere, che hanno acquisito da pochi decenni, dopo essere state per
millenni “la donna” immaginata, voluta e definita dagli uomini,
nient’altro che una proiezione dell’immaginario maschile. Le richiama alla
dignità e all’orgoglio di essere donne nella differenza dagli uomini e nella
differenza di ciascuna dalle altre, fuori da ogni ruolo imposto. Ricordiamo che
questa dignità e questo orgoglio ancora oggi sono negati a tante donne che
nell’ambiente domestico – nella “famiglia” tanto ipocritamente esaltata – subiscono i soprusi e le violenze maschili,
in silenzio, per anni, finché sono uccise, come ci rivela la cronaca
quotidiana. Ognuna di noi, senza limitare lo sguardo alla propria situazione
particolare, deve tener presente questa realtà sociale, che perpetua
un’oppressione, una soggezione e un’alienazione femminili millenarie. Come
Kenendy nel discorso del 1963 a Berlino pronunciò la celebre frase: “Ich bin ein Berliner”, io sono un
berlinese, ognuna di noi deve dire, con la medesima identificazione simbolica: io “sono” una delle donne che subiscono la
violenza di genere.
Daria Martelli è stata insegnante, giornalista e autrice di testi culturali per la RAI; ha scritto opere di storia, narrativa e teatro.
Su questo blog sono stati segnalati due suoi libri:
Le parole di ieri sulla donna. Una ricerca di genere sulle nostre radici culturali, Cleup, 2012, (post Scarpe rosse).
Polifonie. Le donne a Venezia nell'età di Moderata Fonte (seconda metà del secolo XVI), Cleup, 2011, (post 8 marzo).
(l'immagine è tratta dal volume Polifonie, pag.548 e copertina; come si può leggere dalle minuscole didascalie, rappresenta gli abiti delle donne venete,nel Cinquecento, da sinistra: la prostituta, la dogaressa, la nobile, la vergine che, a quel tempo, doveva velarsi)
(l'immagine è tratta dal volume Polifonie, pag.548 e copertina; come si può leggere dalle minuscole didascalie, rappresenta gli abiti delle donne venete,nel Cinquecento, da sinistra: la prostituta, la dogaressa, la nobile, la vergine che, a quel tempo, doveva velarsi)
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