I
racconti di Sfinge
stupiscono subito per la freschezza della lingua e l'attualità dei temi. In prima o terza persona, narrano di donne borghesi colte in vari momenti della loro vita
con tocchi precisi eppure delicati e rappresentano una critica alle convenzioni del tempo, come
sottolinea Luciana Tufani nella
Prefazione. Eugenia Codronchi Argeli
(1865 - 1934), dietro lo pseudonimo Sfinge, pubblicava e veniva diffusamente letta
in un periodo in cui molte donne avevano cominciato a farsi conoscere sulla
carta stampata, eppure i loro nomi sono caduti nell'oblio, sorte che capitò anche a lei. Coraggiosa nella scrittura,
femminista e spregiudicata , ha lasciato
numerosi romanzi, racconti, articoli e saggi che hanno costituito, alla sua morte,
il fondo Codronchi, che comprende anche il lascito di Bianca Belinzaghi, la
compagna della sua vita.
Il
volume comprende otto racconti provenienti da due diverse raccolte, mi concedo qui
di parlare degli aspetti che più mi sono
piaciuti. In letteratura, non è contemplata la sola categoria del gradimento
per la valutazione di un testo, ne sono consapevole, occorre basarsi su altre caratteristiche, ma
tutti questi racconti sono ugualmente segnalabili per la fluidità e
ricchezza della lingua, hanno un impianto narrativo con un respiro nel tempo e
una notevole varietà di personaggi, tutti descritti con una penna intinta
nell'ironia.
Ne
Un dolore inconfessabile l'incipit è
potente: «Regina Polo, come la maggior parte delle donne, non aveva nella sua
vita mai pensato: aveva solo sentito. Sentito l'affetto per la sua austera
famiglia paterna, il rispetto per tutte le leggi e per tutte le tradizioni, la
vanità innocua per la sua giovanile bellezza».
Questa donna che aveva solo "sentito" viene (naturalmente)
condotta per mano e gestita da un uomo, suo marito, per un certo numero di anni
finché lui non desidera spingersi oltre, associandosi a un'impresa di scoperta
geografica che sortirà nella sua presunta morte. Prevedibilmente vengono meno,
per la donna, tutti i suoi punti di riferimento, fino a quando non comincia ad
assaporare la libertà di muoversi autonomamente seguendo le sue proprie motivazioni e
decisioni. E qui il tocco di genio di Sfinge, la situazione si capovolge per la ricomparsa del marito, da cui il dolore inconfessabile di
lei, fatto soprattutto di sgomento e
senso di colpa per l'incapacità di felicitarsi del suo ritorno: «[...] accolse
il suo glorioso marito, ricominciò accanto a lui l'antica vita, avendo
nell'anima la zanna di un dolore che si vergognava di sé [...] e che era
creduto da tutti un eccesso di gioia».
Il perdono si segnala soprattutto per
l'opprimente influenza dei parenti e conoscenti tutti sulla donna che
"deve perdonare" il tradimento del marito. Non c'è spazio per una
scelta diversa e il marito se lo aspetta come fatto
dovuto, senza neppure capire la profondità del rifiuto di lei, ben oltre il
rispetto delle convenzioni: «Io vi perdono, sì, Guidobaldo: Posso finalmente
perdonarvi perché...non vi amo più».
La sposa del
grand'uomo è
l'unico racconto apparentemente scritto
con un punto di vista maschile e si qualifica subito come una critica alla
pratica del giornalismo che si piega alle leggi del mercato, sovvertendo il
criterio di verità per incontrare il piacere del pubblico. Il giornalista in questione è specializzato in
interviste e, appunto, intervista "la sposa di un grand'uomo", dove"
grande" significa d'attualità, di moda, di cui si parla (concetto di
grandezza che riscontriamo quotidianamente anche ai giorni nostri sui social), e che ha deciso di sposare la
donna che frequenta da tempo. Ma il giornalista si imbatte in una ragazza molto diversa dalle liriche in cui
è stata immortalata, «una intelligenza meschina, una scarsità assoluta di
sentimento, una quadratura matematica nelle piccole e immutabili idee di
donnaccola volgare e presuntuosa». E allora l'articolo che ne scaturisce è
«una spudorata menzogna» perché «la verità si dice solo quando nessuno ci
ascolta».
Un
innamoramento inappropriato, ne La nemica
inerme, tra una giovane e un uomo sposato, anche se scoraggiato con tutti
gli argomenti del buonsenso e mantenuto su un piano puramente platonico,
sortisce l'effetto di farsi notare dalla moglie. La storia si conclude in modo
imprevedibile, dopo un'analisi delle parti in gioco sotto l'ottica della
sorellanza.
Da
sempre l'uomo si paga i suoi piaceri carnali e l'opinione corrente non se ne
scandalizza, ma guai se a farlo è una donna e guai a scriverne in quel giro di
secolo tra Ottocento e Novecento. Deve essere sembrata scandalosa la nostra
Sfinge nel tratteggiare un personaggio di donna ricca, molto ricca, che non
lesina i suoi denari nel mantenere un giovane per il suo proprio piacere, come Floriana de
Predis in Fugge l'ora.
Tutto
il rovello di due madri nei confronti di una figlia e di un figlio, che tradiscono le loro
aspettative, in Parole non pronunciate
mai, e Io e mio figlio. Ci
sono l'incapacità di gestire con
sincerità e trasparenza i conflitti inevitabili, e la difficoltà di vivere il
distacco da sé, come naturale evoluzione di un rapporto filiale, eppure un
sussulto di orgoglio materno sembra, infine, smentire almeno una delle due.
Quanto
all'ultimo racconto, Pie donne, non aspettiamoci un ritratto
tipo Excellent women di Barbara Pym, non c'è una Mildred con una
vita piena che desidera magari il matrimonio
ma sa vivere anche senza. Nel racconto di Sfinge solo donne ricche, maritate o
zitelle con tutti i vizi capitali riuniti in loro: avarizia, superbia, invidia,
accidia, ira, gola, tranne uno, la lussuria, a cui non hanno mai ceduto. E
dall'alto della loro posizione privilegiata, queste matrone sferzano tutti i
comportamenti che ne contemplano anche solo un'oncia, sicure, tronfie,
orgogliose «fanno la pioggia e il sereno nell'ambiente morale della importante
città di provincia» dando a destra e a manca «brevetti di onestà alle più
giovani» che giudicano, assolvono o
condannano». Un'ironia costante, simile
al sarcasmo, cesella i caratteri di
queste cosiddette pie donne, e le mette alla
berlina con un approccio molto contemporaneo, fino a farci scordare che stiamo leggendo un'autrice del secolo scorso.
I racconti di Sfinge, Eugenia Codronchi, Luciana Tufani Editrice, 2018.
Una più ampia recensione è pubblicata su
Leggere Donna, 182/2019
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