L'abitudine consolidata di incasellare autrici e autori non funziona per l'autrice britannica Barbara Pym, tanto singolare da sfuggire ai paragoni più arditi, seppure tenacemente cercati. «Allieva di Cechov come e più di Katherine Mansfield», meglio «di Thomas Mann», anzi «la Jane Austen del XX secolo, con molto di Agatha Christie». Tutti paragoni che su di lei sembrano attardarsi per poco e poi scivolare via tanto la sua penna è sommessa e ironica.
Nacque il
2 giugno 1913 a Owestry, nello Shropshire, una contea al confine con il Galles.
Il padre era avvocato e la madre di origine alto-borghese, e fu proprio lei a
spronarla a scrivere, a partire dai dieci anni. Barbara studiò a Liverpool e si
laureò in Lingua e Letteratura inglese a Oxford nel 1934. Durante la guerra
prestò servizio all'Ufficio censura di Bristol e nelle fila delle Wrens
(Women's royal naval service). Al termine del conflitto trovò lavoro come
ricercatrice all'Istituto internazionale di cultura africana, a Londra, e fu redattrice
della rivista Africa.
Da tutte
le esperienze trasse ispirazione per i suoi romanzi, il primo pubblicato fu Some Tame Gazelle, nel 1950 (Qualcuno da
amare, La Tartaruga, 1994). Seguirono Excellent
Women (1952), Jane and Prudence
(1953), Less than Angels (1955), A glass of Blessing (1958) poi,
inspiegabilmente, il suo editore, Jonathan Cape, e come lui molti altri, si rifiutò
di pubblicare An Unsuitable Attachment, poi pubblicato postumo nel 1982, così come An Accademic Question, che uscì nel
1986. Erano gli anni Sessanta e la sua prosa, priva di ribellismo e passioni forti,
ritenuta anacronistica per quei tempi, non attraeva più. Per l'autrice cominciò un lungo silenzio, un vero
e proprio oblio, in cui, nonostante l'amarezza, continuò a scrivere e a
dedicarsi al suo lavoro londinese, fino alla pensione, che arrivò nel 1974,
allorché decise di andare a vivere, con
la sorella Hilary e gli amati gatti, a
Barn Cottage, nel villaggio di Finstock, Oxfordshire.
Ma cosa le
veniva rimproverato? Barbara Pym scriveva di amenità come camere d'affitto in
edifici condivisi, ristrettezze normali del dopoguerra, pesche di beneficienza,
lavoro e rapporti tra colleghe e
colleghi, traslochi, garden party in
quartieri non completamente ricostruiti dopo la devastazione della guerra, cura dei fiori in chiesa, razionamento
del cibo, infinite tazze di tè offerte, ricevute e desiderate. Poco importanti
le trame, che vedevano in azione
pensionati, impiegate, bibliotecarie, antropologi, curati anglicani da sposare,
tipi e tipe eccentriche, persone non
particolarmente belle, eppure affascinanti, donne incuranti del loro
aspetto, che magari indossavano vestiti smessi da altri, molto attive in
parrocchia. Scriveva di zitelle sicure di
sé, quando ancora la parola single non
le designava, che sapevano vivere senza un uomo, un amore, dignitosamente sole, o che anelavano ad
affetti pacati con uomini apparentemente noiosi, donne che coltivavano molti interessi,
attive nella comunità accademica, o in campagna, o in parrocchia. Insomma "donne eccellenti", come il titolo
del suo più celebre romanzo (La Tartaruga, 1985, il primo tradotto in
italiano). Raccontava una vita apparentemente tranquilla che nascondeva nevrosi
e rimpianti, sublimati nella devozione, o nell'impegno personale, nelle buone
maniere o nel pettegolezzo appena accennato. Un mondo molto british dove non scoppia la tragedia e
la quotidianità,semplicemente banale, è pur sempre un'opportunità di vita.
A ridarle
notorietà sopraggiunse la segnalazione delle sue opere, nel 1977, da parte di due personalità della cultura come
Lord David Cecil e del poeta Philip Larkin, che la definirono l'autrice più
ingiustamente sottovalutata del secolo. Così le si riaprirono le porte delle
case editrici e vennero ristampati i romanzi precedenti. Manoscritti coperti di polvere videro infine
la luce, come Quartet in Autumn (1977)
e The Sweet Dove Died (1978). Nel
nostro Paese tra i suoi estimatori vi furono Carlo Fruttero e Franco Lucentini
che la fecero conoscere a Italo Calvino e, sebbene tardivamente, i suoi romanzi
furono finalmente tradotti e pubblicati anche da noi.
Barbara
Pym godette della sua ormai insperata fama solo pochi anni perché un tumore la
stroncò l'11 gennaio 1980. Sua sorella e l'esecutrice testamentaria, Hazel Holt,
diedero alle stampe l' autobiografia A Very Private Eye che raccoglie i diari
e molti appunti di scrittura. Furono pubblicati A Few Green Leaves (1980), l'ultimo romanzo, finito appena prima
della morte, e due testi scritti negli anni Quaranta, Crampton Hodnet (1985) e Civil
to Strangers (1987). Holt, sua amica e collega dal tempo in cui lavoravano
insieme a Londra, ne scrisse la biografia A Lot to Ask: A Life of Barbara
Pym.
Nel 1986 fu fondata al St Hilda's College di Oxford la Barbara Pym Society, che organizza un convegno annuale, cura una rivista semestrale e si propone la conoscenza e l'approfondimento delle sue opere. Leggerla ora, a quarant'anni dalla sua morte, riserva ancora piacevoli sorprese per l'ironia leggera che sprizza dai dialoghi intelligenti e garbati, risolti in uno stile limpido, senza fronzoli.
Si può definirla, a buona ragione, un'autrice senza tempo, ma
non è, appunto, la caratteristica dei classici?
già pubblicato su
https://vitaminevaganti.com/2020/05/30/rileggere-barbara-pym/