Avevamo lasciato Jacopo Zambon con un caso chiuso e risolto e quasi lieto dei suoi affetti, lo ritroviamo coinvolto in un'indagine che mette in gioco anche la memoria della sua città. In Di là dall'acqua, di Elisabetta Baldisserotto, siamo sempre a Venezia e come dubitarne? Dalle prime righe si è cullati dall'acqua dei canali e dalla lingua dolcissima che indugia in felici espressioni dialettali. La prosa dell'autrice sembra qui più matura, armoniosa e, a tratti, malinconica perché allude o sottolinea il dolore.
Questo nuovo romanzo di Baldisserotto sembra concepito come parte di una "serie", nel significato che attribuiamo alle più famose e seguite serie televisive: ogni episodio è autonomo e, nello stesso tempo, c'è un sottofondo che si sviluppa, in cornice, fino a diventare la vera storia delle storie. Vediamo appunto il commissario Zambon con l'evidente peso dei suoi ricordi, del suo lutto da elaborare e i richiami al precedente Morire non è niente sono tra le righe e percepibili nei suoi gesti di space clearing.
"La fase acuta era passata, ma ancora oggi non poteva ascoltare Dylan, -He was a friend of mine-, senza piangere".
"Di là dall'acqua", a Venezia, si emarginavano i pazzi, i folli, i matti quando ancora doveva soffiare il vento nuovo della psichiatria e proprio in quel luogo denso di memorie e tristezza, l'isola di San Servolo, sede del grande e ormai vuoto Manicomio Centrale delle Province Venete, si tiene ora un convegno di psicanalisti nel nuovo centro congressi con annessa foresteria. Grandi nomi di studiosi raccolti a presentare le loro visioni e strategie di cura e ci scappa il morto.
Questo nuovo romanzo di Baldisserotto sembra concepito come parte di una "serie", nel significato che attribuiamo alle più famose e seguite serie televisive: ogni episodio è autonomo e, nello stesso tempo, c'è un sottofondo che si sviluppa, in cornice, fino a diventare la vera storia delle storie. Vediamo appunto il commissario Zambon con l'evidente peso dei suoi ricordi, del suo lutto da elaborare e i richiami al precedente Morire non è niente sono tra le righe e percepibili nei suoi gesti di space clearing.
"La fase acuta era passata, ma ancora oggi non poteva ascoltare Dylan, -He was a friend of mine-, senza piangere".
"Di là dall'acqua", a Venezia, si emarginavano i pazzi, i folli, i matti quando ancora doveva soffiare il vento nuovo della psichiatria e proprio in quel luogo denso di memorie e tristezza, l'isola di San Servolo, sede del grande e ormai vuoto Manicomio Centrale delle Province Venete, si tiene ora un convegno di psicanalisti nel nuovo centro congressi con annessa foresteria. Grandi nomi di studiosi raccolti a presentare le loro visioni e strategie di cura e ci scappa il morto.
Niente è mai perfettamente lineare, persino le relazioni tra psicanalisti sono complesse e contemplano ammirazione e stima insieme a rivalità e sottili gelosie.
Un'altra sfida per il nostro commissario che l'autrice ci mostra oscillante nella sua ricerca di una qualche serenità personale, eppure capace di risolvere questa non semplice situazione che lo vede, tra l'altro, fronteggiare la sua stessa analista. Jacopo Zambon capisce subito "che la pace ovattata in cui aveva vissuto nelle ultime settimane era finita". Con un tratto unico scova testimoni, raccoglie confidenze, scatena ricordi nelle persone più impensate, camminando con gli stivali di gomma, per l'acqua alta, tra pasticcerie, calli, squeri e la barca, perché "barca xe casa [...] c'è tutto quello che serve in quel guscio galleggiante".
Si diceva del dolore ed è proprio il prezzo che si paga, talvolta, per essere ribelli, al di fuori degli schemi e persino la vendetta, anche dopo tanti anni, può essere ispirata dal dolore, basta solo che qualcuno predisponga ogni cosa per rendere il compito facile, almeno in apparenza.
Di là dall'acqua, Elisabetta Baldisserotto, Cleup,2017.
pubblicato su
Nessun commento:
Posta un commento